Gli alberi non bastano. La scoperta dell’università di Yale sull’imprevista proliferazione della flora terrestre non è sufficiente a salvare un pianeta sempre più sconvolto dall’opera dell’uomo. Il futuro, a questo punto, è un enigma, visto che non è possibile prevedere come la natura reagirà alla contaminazione in atto. Il punto di non ritorno, secondo alcuni scienziati, sarebbe già stato superato, mentre altri guardano con speranza al meeting sul clima di Parigi, in programma il prossimo dicembre. La minaccia più grave arriva dalle distese di ghiaccio dell’Artico dove l’effetto serra produce effetti devastanti. Apocalittico lo scenario col quale potremmo confrontarci fra qualche anno, descritto da esperti del settore riuniti nella conferenza Glacier in Alaska, fortemente voluta da Barack Obama.
Mari che si alzano e sommergono città, esodi di massa e profughi in fuga, malattie, economie in crisi, modifica degli ecosistemi, incendi, migrazioni di uccelli e pesci, liberazione di anidride carbonica per attività microbiche e rilascio di metano dal permafrost, che alzano la febbre della Terra. I primi segnali sono inquietanti: gli orsi bianchi cominciano a spostarsi verso nord nutrendosi di delfini o uova di uccelli marini mentre la mancanza di lastre di ghiaccio spinge migliaia di trichechi a raggiungere le coste per riposarsi. Nel frattempo gli oceani si fanno sempre più acidi e corrosivi, alterando specie animali e vegetali marine. Uno schiaffo al Creato. Il cambiamento climatico in Artico “va arrestato perché potrà avere altrimenti conseguenze catastrofiche su tutto il pianeta, tenuto conto del ruolo di queste regioni nel moderare la temperatura globale” ha spiegato Enrico Brugnoli, direttore del Dipartimento scienze del sistema della Terra e tecnologie per l’ambiente del Cnr, che alla conferenza in Alaska ha rappresentato l’Italia assieme al direttore generale del Ministero degli Affari Esteri Giuseppe Buccino.
Il riscaldamento globale al Polo Nord “sta già danneggiando le infrastrutture, alcuni villaggi costieri in Alaska stanno scivolando in mare e strade ed edifici subiscono danni – ha affermato Brugnoli – I cambiamenti hanno effetti negativi sulla salute delle popolazioni locali e sulle loro economie. Occorre lavorare su mitigazione, adattamento e resilienza ai cambiamenti”. E bisogna farlo in fretta. Anche perché, ha avvertito Maria Grazia Midulla – responsabile clima ed energia del Wwf – le trasformazioni nelle regioni artiche “a partire dagli anni ’60, con il drammatico aumento delle emissioni di CO2 a livello globale, hanno un’influenza sul clima di tutto il Pianeta, in un vortice di meccanismi di feedback positivi che accelerano la fusione dei ghiacci e del permafrost, liberando nuove riserve di carbonio sotto forma sia di metano che di CO2”. L’auspicio è che “un’azione significativa per il clima, diventi una priorità assoluta per tutti i Governi del mondo”. La perdita dei ghiacci “provoca uno sconvolgimento nella circolazione globale dell’atmosfera – ha concluso Brugnoli – con una diversa distribuzione delle piogge, del calore e del freddo, modifiche del ciclo dell’acqua e rischio di siccità più frequente alle nostre latitudini”. Col rischio di trasformare il Pianeta Azzurro in una landa arida e senza vita, sbiadito ricordo di una meraviglia del Creato.