Si stava meglio quando si stava peggio

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Oramai è assodato; la legislatura è stata quasi interamente bruciata a rincorrere improbabili riforme istituzionali e l’ultimo accadimento avvenuto in Parlamento sulla legge elettorale lo dimostra platealmente. Non si può continuare a sottovalutare così incoscientemente la nostra situazione economica così preoccupante. Sono tre anni che la riforma elettorale viene posta tra le attualità d’Italia e per la ennesima volta tutto è saltato in aria. Si fa sembrare che sia il problema più importante degli italiani, mentre riguarda invece il solo ceto politico, il quale ritiene che per impossessarsi del potere debba assolutamente costruirsi su misura gli strumenti più adatti a se stesso, complice la forza di cui dispone in quel dato momento e che intende far fruttare per i propri interessi di gruppo o di partito.

Anche nel passato ad esempio è avvenuto per altre ragioni la stessa cosa; quello di decentrare il potere statale a favore delle Regioni come occasione di rinnovamento e di efficientamento della democrazia e delle amministrazioni. La massima espressione di questa irrefrenabile volontà di cambiamento portò alla modifica persino della Costituzione repubblicana con il titolo quinto; le sventure sono state gravissime, con costi elevatissimi ed ancora non quantificabili per la comunità nazionale. Così è stato rimosso ciò che funzionava dello Stato centrale, senza sostituirlo con altri strumenti altrettanto funzionanti e coerenti con gli interessi dei cittadini. Da quel momento la corruzione politica si è centuplicata, il debito pubblico si è esteso esponenzialmente in assenza di verifiche sulla spesa locale. Le dinamiche sono state le stesse di oggi. Spinte di parte, a scapito degli interessi generali.

Insomma, ora, l’intera legislatura viene bruciata dalla bramosia di chi ha più potere, per piegare le regole al proprio interesse, senza alcuna volontà di ascolto o mediazione con gli altri. La stessa forzatura in Parlamento è avvenuta un paio di anni fa per la legge elettorale e poi con il Referendum del 4 dicembre scorso, dopo che la Corte Costituzionale aveva mosso non pochi dubbi e rilievi sulla congruità costituzionale della legge perseguita ad ogni costo. Sappiamo come è andata a finire, mentre il debito pubblico aumentava e con esso i disoccupati.

Ed ancora una volta, a fine legislatura, si imbastisce una fitta diplomazia tra le più importanti realtà politiche per votare in autunno. Cosa mai sarà successo di così clamoroso per i vitali interessi dei cittadini per volere a tutti i costi di anticipare di 4 mesi le consultazioni elettorali politiche? Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio e Segretario del partito con più parlamentari nel Parlamento, sono espressione della stessa forza politica; qual’è il problema? Che c’è di così importante da mettere in secondo piano gli interessi più vitali del Paese?

Questo modo di fare, già nel passato ha danneggiato le funzioni dello Stato, ora sta danneggiando la residua fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nella politica. Qualcuno dirà che in alternativa ci vuole il nuovo. Credo sia venuto venuto il momento di tirare le somme. Sono venti anni che il Paese si confronta con il nuovo che avanza. Arrivano i novelli politici dagli scarsissimi pedigree, ed incapaci di cose nuove, per fare qualcosa demoliscono ciò che magari funzionava già nel passato. Non hanno la pazienza della mediazione, non hanno l’idea che la convivenza tra persone diverse si ottiene con norme scritte e non scritte valide in ogni occasione, non riconoscono il senso del detto latino che la virtù è nel mezzo, ma soprattutto dimenticano la ragione prima ed ultima della politica: quella di amministrare le tasse dei cittadini per restituire loro servizi collettivi. Ed invece per costoro la politica è vista solo come una arena gladiatoria dove si sopprime chi non è d’accordo, con tanto di tifoseria organizzata da TV, giornali e social, generalmente al seguito di facinorosi e di chi comanda.

Si può dire che si stava meglio quando si stava peggio. Sapevamo chi fossero i nostri rappresentanti, con loro si poteva parlare delle cose che ci interessavano, lo Stato funzionava, le tasse erano più basse ed i servizi migliori di oggi, la corruzione era a livelli fisiologici, il potere democratico si equilibrava con quello dei poteri forti, conosciuti e non.

Il nuovo è più vecchio dell’antico, ed ora non ci resta di sperare che si possa ricominciare da tre. Un buon segnale è venuto dal voto amministrativo di domenica scorsa. Gli elettori hanno tendenzialmente rifiutato candidati che come unica qualità che hanno evidenziato è quella di essere nuovi. Sembra che questa volta abbiano voluto indicare persone già verificate; questo lascia sperare.

Raffaele Bonanni: