Il sacrificio di Salvo D’Acquisto, a 71 anni dal suo eccidio, merita una menzione particolare perché rappresenta l’espressione più intensa di amore verso il prossimo e la testimonianza di una generosità spinta sino al dono della propria vita. Papa Francesco, nell’incontro con i Carabinieri lo scorso anno in Piazza San Pietro ha chiesto di ricordare col cuore, con la preghiera e con il silenzio “il fedele servitore dello Stato che a 23 anni, qui vicino a Roma, a Palidoro, ha spontaneamente offerto la sua giovane esistenza per salvare la vita di persone innocenti dalla brutalità nazista”.
La vicenda di Salvo D’Acquisto, Vicebrigadiere dei Carabinieri Reali, ucciso il 23 settembre 1943 dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale in cambio della liberazione di 22 ostaggi, lascia un ricordo quanto mai vivo nella travagliata storia italiana del secolo scorso: se si prova a leggerla nel senso profondo, quella vicenda supera di gran lunga la mera cronaca per diventare nel tempo modello di carità cristiana, proveniente da un giovane carabiniere che ha fatto della propria esistenza un dono.
La sua breve vita, la sua formazione culturale e spirituale nelle scuole dei salesiani prima e dei gesuiti dopo, testimoniano le virtù di un cristiano dall’animo profondamente generoso e dalla grande umanità, guidato dalla fede in Dio, secondo l’esempio dei genitori Ines e Salvatore e soprattutto della devotissima nonna Erminia, vedova di carabiniere, guida spirituale del nipote, che metterà nelle sue tasche la corona del Rosario che lo seguirà fino alla morte.
L’infanzia di Salvo, trascorsa in una famiglia serena ma provata dalle malattie, è un continuo esempio di carità e altruismo: verso il fratellino molto malato e la sorellina Franca, verso l’amico in difficoltà deriso dai coetanei, verso il bisognoso della sua età a cui dona le scarpe, verso la ragazzina cieca insultata dagli amici, verso gli ammalati che visita in ospedale. E ancora Salvo rinuncia agli studi per lavorare e aiutare la sua famiglia, in difficoltà economiche. La presenza nella famiglia di tanti appartenenti all’Arma, lo porta ad arruolarsi nell’Arma dei Carabinieri, anche perché è consapevole che in tale veste può fare del bene agli altri.
E infatti, come carabiniere Salvo si distingue presto per il suo innato bisogno di aiutare gli altri, coniugando il sentimento religioso con le doti tradizionali del carabiniere: l’amore di Patria, il coraggio, lo spirito di servizio e di sacrificio, il senso del dovere… Quello per il quale decide di non abbandonare il borgo di Palidoro, dove presta servizio, per restare vicino ai poveri abitanti di quel centro: “Il mio dovere è di essere con la gente che è stata affidata a noi” ribadisce a chi gli consigliava, dopo l’8 settembre 1943, di nascondersi a Roma. Una convinzione che lo porta a offrire se stesso per salvare ventidue ostaggi che stavano per essere fucilati come ritorsione a un presunto attentato.
Il gesto eroico finale non è un momento di generosità occasionale ma la naturale conseguenza di tutta una vita rivolta a prestare attenzione agli altri, in cui il senso del dovere spinto fino all’estremo sacrificio assume la fisionomia della carità cristiana eroica. Quella di Salvo D’Acquisto è l’autentica testimonianza di un laico cristiano e l’esempio di una santità raggiunta nell’adempimento fedele e generoso dei doveri del proprio stato.
A ragione si può definire Salvo D’Acquisto “martire moderno” secondo l’intuizione di Papa Benedetto XVI che, nel ricordare il valore dei Martiri moderni, affermava: “è più che mai necessario riproporre l’esempio dei Martiri cristiani, sia dell’antichità sia dei nostri giorni, nella cui vita e nella cui testimonianza, spinta fino all’effusione del sangue, si manifesta in modo supremo l’amore di Dio. Essi sono coloro che hanno annunciato il Vangelo dando la vita per amore. Il martire, soprattutto ai nostri giorni, è segno di quell’amore più grande che compendia ogni altro valore”.
Desidero terminare questa breve riflessione con le parole di Papa Giovanni Paolo II, che in un discorso del 26 febbraio 2001 disse ai Carabinieri di Roma: «La storia dell’Arma dei Carabinieri dimostra che si può raggiungere la vetta della santità nell’adempimento fedele e generoso dei doveri del proprio stato. Penso, qui, al vostro collega, il vice-brigadiere Salvo D’Acquisto, medaglia d’oro al valore militare, del quale è in corso la causa di beatificazione”.
E la speranza, da carabiniere, è che questa causa possa finalmente concludersi dopo oltre 31 anni dal suo avvio ad opera dell’Ordinario Militare dell’epoca, Mons. Gaetano Bonicelli, e che Salvo D’Acquisto possa assurgere alla dignità di Santo, come martire in uniforme da carabiniere: martire che dona, in silenzio e nel compimento onesto del dovere, la sua vita per gli altri secondo l’insegnamento del Vangelo, scatenando l’odio dei nazisti che lo uccisero, in ultima analisi, in odium fidei, cioè in odio alla fede per l’esempio di coerenza cristiana offerto da Salvo e per il suo amore per la giustizia e la difesa dei poveri.
A spingere i carnefici non fu quindi la semplice brama di rappresaglia, ma l’odio scatenato dall’amore per la giustizia e per i più deboli che Salvo manifestava come riverbero diretto della sua fede in Cristo e del suo senso del dovere. Nel delirio sanguinario che martoriava l’Italia oppressa dal nazifascismo in quegli anni atroci, Salvo D’Acquisto fu il buon pastore disposto a offrire la vita per seguire la predilezione per i poveri e gli indifesi. La fede era il punto sorgivo del suo operare, delle parole che pronunciava e dei gesti che compiva nel contesto stravolto in cui era chiamato a operare e a vivere come carabiniere.
Rosario Castello
Comandante provinciale carabinieri – Bari