Come si prepara Milano ad accogliere la visita di Papa Francesco? Quale città incontrerà il Pontefice? Lo spiega in questa intervista il sindaco Giuseppe Sala.
“Oggi Milano è una città che non ha rinunciato ad essere competitiva e a promuovere l’economia ma, con la stessa intensità, è anche una Milano solidale. Spero che il Papa lo veda con i suoi occhi e spero anche di avere l’opportunità di mostrargli perché Milano ha fatto grandi passi in avanti in termini di solidarietà”.
Milano è il motore economico dell’Italia. Ma è una città che sembra andare a due velocità. Condivide ?
“Questo, sì. Obiettivamente Milano ha fatto grandi progressi dal punto di vista dell’economia. Pensiamo al turismo: attualmente mettendo insieme visitatori per business e turismo, Milano ha addirittura superato Roma, e ciò sembra incredibile. Però, c’è il tema delle periferie; è una semplificazione parlare di periferie, ma c’è un tema che è quello di quartieri che vivono un disagio ancora significativo. Ora, la mia Giunta ha messo in campo un piano radicale di intervento. In particolare sulle periferie abbiamo previsto grandi investimenti: certamente, per il ripristino delle case – l’abitare è una cosa importante – ma anche per luoghi di aggregazione, per la socialità… Se non si risolve questo grande tema, tutti i primati di Milano rimarranno un qualcosa che lascerà l’amaro in bocca”.
Quali sono i problemi maggiori per risanare la periferia milanese?
“Prima di tutto bisogna partire dalle case. Abbiamo 30 mila appartamenti di proprietà del Comune. E molto spesso, dall’impianto elettrico, agli ascensori, insomma, sono state un po’ trascurate. Bisogna quindi ripartire dal decoro delle case. Ci sono poi quartieri nei quali bisogna portare sistemi di trasporto pubblico per avvicinarli al centro. E poi c’è il tema dei luoghi di aggregazione. Soprattutto gli anziani devono avere luoghi dove possono incontrarsi. Infine, la sicurezza, che non è un tema né di destra, né di sinistra. Occuparsi di sicurezza vuol dire, infatti, pensare alla gente che ha di meno. Tutte queste cose insieme fanno sì che se ci si occupa di una cosa sola è poco. Bisogna occuparsi di tutte”.
Milano è terra di immigrazione. Qualche anno fa gli immigrati transitavano per andare in Europa, oggi restano in città…
“Milano ha una quantità di immigrati intorno al 19 per cento, il doppio della media italiana. Sono, per essere onesti, anche motore di sviluppo della città. Alcune comunità sono molto integrate. Ora, stiamo fronteggiando un’ondata diversa mossa dal bisogno assoluto di chi scappa dalla guerra o dalla fame. Fino a circa un anno fa, dei migranti che venivano a Milano ne rimaneva solamente un 10 per cento perché poi andavano verso nord – Svizzera, Francia, Germania – o verso ovest in Francia. Oggi è più difficile perché il 70 per cento chiede di ricevere lo status di rifugiato. Il problema è diventato importante perché innanzitutto c’è un problema di accoglienza immediata, poi dobbiamo occuparci dei minori, dobbiamo farli studiare, dar loro una vita che crei spazi di opportunità. Aggiungo però una cosa: se non troveremo formule per mettere questi migranti in condizioni di lavorare, sarà una battaglia persa. Perché Milano tende sempre la mano e aiuta, ma alla fine è necessario trovare delle soluzioni perché l’integrazione passa attraverso il lavoro”.
E’ possibile attrarre le multinazionali ed essere solidali con le persone?
“E’ chiaro che oggi Milano è in un momento positivo, fruttuoso. E’ forte perché le sue singole componenti sono forti. Il sistema universitario, con più di 200 mila studenti, di cui il 7, 8 per cento arriva dall’estero; il sistema industriale, della creatività, della moda, il design, la tecnologia… Ma, insieme a tutto ciò, le statistiche ci dicono che un milanese su dieci fa volontariato e questa è una qualità incredibile. Ora, noi pensiamo che la forza della città nasca dalla capacità di integrazione di questi mondi e dalla capacità di mettere in atto politiche che uniscano il pubblico al privato”.
Lei personalmente, che cosa si aspetta dalla visita del Papa?
“Mi aspetto che questa attenzione agli ultimi – non solo gli ultimi, perché poi le città sono fatte di ultimi, penultimi, terzultimi, c’è una larga scala di bisogni – si immedesimi in quella che è la società milanese. Mi aspetto che poi lasci Milano con la consapevolezza che – ed è proprio la sintesi di tutto – si può essere, anzi si deve essere, competitivi come Milano ma con un grande livello di solidarietà: che questo mix possa funzionare e che Milano possa essere un esempio per altre città”.