Due occhi enormi su un volto d’ebano, una montagna di riccioli neri, il sorriso sempre pronto: tutto concentrato in circa un metro di altezza. E’ l’immagine del bambino che tra i primi si presenta al tavolo dove è poggiato il cibo, per chiederne una porzione. Una cena, probabilmente l’unico pasto della giornata. Gli altri sono ancora a fare “due tiri” a calcio, con una palla un po’ sgonfia, ma appena vedono i volontari che hanno allestito per la distribuzione si mettono ordinatamente in fila, mentre qualcuno va a chiamare gli altri nel campo.
Siamo nel parcheggio in via delle Messi d’Oro, dietro la stazione di Ponte Mammolo a Roma. Sull’altro lato della strada sorge un campo abusivo, che si trova lì da circa vent’anni, ma che in questo momento di crisi umanitaria accoglie ogni giorno centinaia di profughi, principalmente eritrei, che riescono a giungere nella capitale con mezzi di fortuna, che dovranno poi raggiungere altre mete non definite in Europa per cercare di ricominciare la propria vita. “Non hanno niente. – spiega Don Marco della parrocchia S. Romano, riferimento per il quartiere – Il campo al suo interno è piuttosto organizzato, quasi fosse un paese. Ma loro non hanno niente da scambiare”.
Il bambino di prima si avvicina di nuovo. Vuole qualcosa, ma non sa spiegarsi. Torna con Tommy, un ragazzo che parla anche italiano, che ci dice vorrebbe: porzioni “a portare via”, perché all’interno del campo c’è la mamma incinta con una sorellina che non possono spostarsi ed è lui “l’ometto di casa” che deve provvedere alla cena. Mentre gli altri ragazzi sistemavano la loro “mensa all’aperto”, raccogliendo cartacce, piatti e bicchieri in maniera estremamente ordinata, Tommy rimane a parlare con noi. Ci spiega che parla italiano perché sono 11 anni che è nel nostro Paese, che si è imbarcato su un gommone quando aveva 16 anni. È riuscito ad arrivare a Lampedusa, poi con mezzi di fortuna ha raggiunto Udine, dove ha finito le scuole e ha ottenuto anche il visto per essere in regola. È arrivato poi a Roma 5 anni fa, e da allora vive nel campo.
“Non me ne posso andare, non trovo lavoro – spiega – mi sono scaduti i documenti. Ma senza residenza non posso rinnovarli, e senza lavoro non posso trovare una casa per avere la residenza!”. Gli chiediamo se non ha paura che la polizia possa arrestarlo, e lui risponde con un sorriso: “Se mi arresta non posso farci nulla. Aspetterò che mi liberano per continuare a cercare lavoro. Sono 11 anni che va avanti così”.
Don Marco si è attivato, facendo appello a varie associazioni di volontariato, per portare almeno un pasto completo al giorno a chi non ha altri mezzi di sostentamento. “Il lunedì vengono i volontari dell’Opera Regina degli apostoli e i fedeli della parrocchia S. Igino, il martedì la S. Egidio, mercoledì la parrocchia S. Romano e S. Vincenzo Pallotti, giovedì i Cavalieri di Malta, venerdì S. Bernadette, sabato è il turno di S. Maria del Soccorso e domenica vengono gli Scout d’Europa da varie parrocchie, in questo modo non ci siamo mai ritrovati senza cibo nonostante le istituzioni facciano finta di non vedere nulla”. La procedura è semplice: chi si offre deve preparare dei panini, una zuppa e se riesce può raccogliere anche un po’ di frutta e dei dolci, che verranno distribuiti alle persone che pazientemente si saranno messe in fila, sullo stile di una mensa. E’ l’altra faccia della medaglia, uno schiaffo alla propaganda populista sui costi degli immigrati in Italia.
Mentre i volontari iniziavano a smontare i tavoli per tornare a casa Tommy si ripresenta, seguito da un gruppo di ragazzi, tra i 15 e i 30 anni, perché in Europa “si viene giovani, bisogna essere forti per lavorare”; ci ferma per farsi loro portavoce (essendo quasi tutti di passaggio per pochi giorni nessun altro parlava italiano): “Voi fate fin troppo per noi. Ci avete salvato dal mare, ci avete accolto quando eravamo disperati e ci portate pure da mangiare. Per noi è troppo. Davvero grazie, che Dio vi benedica”.
Lo scorso week end però la situazione è peggiorata, a causa dell’aumento di profughi sbarcati nel nostro Paese: sabato erano circa 400, mentre domenica arrivavano quasi a 600. “Avevamo previsto 400 pasti, ma gli ultimi 40 sono rimasti con due mele per uno. Non è stato un bel momento”, spiega Cristiano, volontario degli Scout d’Europa.
Poi l’inevitabile: il campo è stato sgomberato dagli agenti della polizia municipale dello Spe e del IV Gruppo. La situazione stava diventando insostenibile, certo, in particolar modo per gli abusivi che da anni ci vivono. L’assessore alle Politiche sociali Francesca Danese e il presidente del IV municipio, Emiliano Sciascia, hanno commentato: “Stiamo smantellando un ghetto dove vivevano in duecento, di diverse nazionalità, in condizioni insopportabili per una città come la nostra dove nessuno dovrebbe vedersi privato della dignità personale”. Intanto però, quel bambino – insieme a tanti altri – oggi non troverà da mangiare.