Discriminati, guardati con sospetto, allontanati quando si avvicinano. Pochi popoli hanno subito, almeno nell’ultimo secolo, il trattamento riservato a rom e sinti, gli “zingari”, come spesso vengono chiamati con accezione spregiativa. Un odio innato per la maggior parte di quelle persone che si dicono “civili”. Frutto di storie e leggende metropolitane come quella delle donne nomadi che rapiscono i bambini nascondendoli sotto la lunga gonna. O di una politica inadeguata, incapace di far sentire a casa loro i rappresentanti di etnie antichissime la cui “colpa” è solo quella di avere una cultura forte, non evanescente, fiera di mostrarsi agli altri. Tradizioni acquisite nelle infinite peregrinazioni da est verso l’Europa, dove giunsero a partire dall’800 dopo Cristo.
Il primo errore che si compie nei confronti di questi popoli è di metterli tutti sullo stesso piano, ignorando le differenze sociali e idiomatiche. “E’ improprio parlare solo di rom – spiega a Interris.it Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione “21 Luglio” di Roma – bisogna invece distinguere tra rom e sinti. Entrambi i gruppi provengono dall’India ma sono arrivati in Italia in epoche diverse. Gli insediamenti sinti sono i più antichi, mentre quelli rom si sono formati in tempi più recenti e attraverso più migrazioni, a seconda del ceppo di appartenenza”. Già, perché ci sono quelli di origine romena e quelli slavi, con usanze e stili di vita propri.
Una cultura radicata, si diceva, ma che non rifiuta l’integrazione, altro mito da sfatare. Basti pensare che il 50% ha cittadinanza italiana e solo un quinto di quelli che vivono da noi dimora nei campi nomadi. Veri e propri ghetti la cui formazione è “iniziata a partire dagli anni ’80 – prosegue Stasolla – per volontà di alcune giunte regionali, soprattutto di sinistra, che pensavano così di preservare le loro tradizioni. Queste iniziative, spesso adottate in buona fede, hanno però creato segregazione. E sono state l’origine di quello che oggi viene percepito come un problema”. Ma che in realtà non lo è, basta leggere i numeri. Secondo l’ultima rilevazione del Consiglio d’Europa la popolazione gitana nel Bel Paese oscilla tra i 120 mila e i 180 mila individui, cioè lo 0,25% dei residenti totali. Uno schiaffo a chi parla di invasione. In Spagna, giusto per capirsi, sono circa 650 mila, in Romania 619 mila, in Francia 500 mila, in Grecia, infine, 200 mila.
A fronte di una presenza minima il “caso nomadi” è però troppo spesso artificiosamente e dolosamente ingigantito dalla politica. E ciò rende l’Italia la nazione europea con il maggior tasso di antiziganismo (cioè di razzismo contro gli “zingari”) che coinvolge l’86% dei nostri connazionali. Numeri di cui andare poco fieri. Questo non vuole dire chiudere gli occhi né giustificare gli episodi di microcriminalità ad essi riconducibili. Un fenomeno dovuto anche all’isolamento forzato cui rom e sinti sono stati sottoposti. Costretti a vivere tra le lamiere, nelle roulotte o in alloggi di fortuna, in mezzo ai topi, a ridosso delle periferie urbane, dove la conflittualità sociale cresce di giorno in giorno. Perché in queste isole di degrado il rancore diventa vicendevole, tra chi sta dentro e chi sta fuori. Esattamente come avviene nelle banlieu parigine o nelle favelas brasiliane.
Ma ai gitani non è consentito coltivare rabbia per le condizioni in cui vivono. Per loro non esiste inclusione, solo emarginazione. “Oggi queste persone sono fantasmi nelle città, escluse da ogni forma di integrazione – osserva amaro Stasolla – per fortuna l’inchiesta su Mafia Capitale ha fatto capire quanta speculazione ci sia stata dietro la gestione dei campi nomadi”. Realtà che va superata anche per risolvere i conflitti spesso esistenti tra le diverse etnie residenti. “E’ normale che ci siano problemi all’interno di queste strutture – prosegue il presidente della “21 Luglio” – non si possono costringere le persone a vivere insieme”. Ma qual è, allora, la soluzione per restituire dignità a rom e sinti? “Occorre inserirli nell’emergenza abitativa e farli rientrare nell’edilizia popolare. Bisogna evitare politiche differenziate che li facciano apparire diversi”. Certo, “per fare tutto ciò servono volontà politica e misure che, magari, non poteranno voti”. E per questo, probabilmente, non saranno adottate mai.