L’accelerazione sulla nuova Costituzione voluta dalla maggioranza parlamentare, pur in presenza di uno scontro politico dilaniante che sembra profilare una modifica della Carta Fondamentale non condivisa univocamente, impone una riflessione sulle ulteriori riforme “in cantiere”, in particolare su quella della Giustizia, una espressione su cui è bene porre l’attenzione. E questo perché la vaghezza della indicazione a fronte della forza dello slogan può ben orientare le innovazione verso soluzioni la cui portata non è stata adeguatamente messa in luce. Ciò perché “riforma della giustizia” può significare tutto e niente.
Il sistema giudiziario, infatti, è composto da una pluralità di aspetti, distinti e pur tra loro interconnessi, fatto, come ogni altro sistema complesso, di diversi fattori.
Ci si passi l’esempio di una espressione assimilabile a quella che stiamo esaminando: se si parlasse di “riforma della medicina” a cosa penseremmo che si faciia riferimento? A nuove organizzazioni all’interno degli ospedali, alla carriera dei medici, alla ristrutturazione del sistema di decentramento delle scelte politiche, all’accesso all’università attraverso la scelta di un numero chiuso di studenti? Certamente, però, non si potrebbe parlare di una modifica dell’anatomia umana, immutabile da sempre.
Ebbene, quando si parla di giustizia, la modifica dei codici porta in sé una trasformazione stessa dell’approccio alla materia così ampliando le possibilità di modifica del sistema. Per questo quella volontà riformista appare, agli occhi dei tecnici del diritto, allo stesso tempo una possibilità di miglioramento ed un pericolo di regresso.
E questa seconda sensazione sembra prevalere e non senza motivazione: le recenti scelte parlamentari tendono ad una delegittimazione della Magistratura, indicata come fannullona attraverso il battage che ha preceduto il pasticcio sulle ferie dei giudici, o irresponsabile secondo quanto viene fatto intendere trattando della responsabilità civile. Tasselli di una costruzione finalizzata alla delegittimazione del sistema che si vuol rivoluzionare. Usando una espressione di Rodotà, dobbiamo davvero ripetere che a fronte a tutto questo, le parole sono pietre. Suscitano umori, li fanno sedimentare, li trasformano in consenso, ne fanno la componente profonda di un modello culturale inevitabilmente destinato ad influenzare le dinamiche politiche.
E se tutto ciò è vero, risulta evidente che una “riforma della giustizia” che si diriga verso orizzonti non definiti preoccupa e rende difficile il dibattito su ciò che “occorre” perché i diritti del singolo siano tutelati a fronte dei bisogni di una società che si è data chiare regole. La preoccupazione, che ritengo tutti debbano condividere, è che anziché operare per risolvere il principale problema che tutti rileviamo, quello della accessibilità ad un sistema che dia risposte in tempi rapidi, e ciò è attuabile affrontando riforme processuali e nevralgicità conseguenti alle carenze strutturali, si voglia giungere ancora una volta ad una sola riforma “dei giudici” e delle loro carriere, limitandone, come già si tentò di fare nel recente passato, l’indipendenza. E ciò può avvenire, entrando nello specifico, attraverso modifiche costituzionali al Consiglio Superiore della Magistratura, garante ad oggi della libertà di decisione del giudice e della autonomia del pubblico ministero nelle proprie scelte, anche attraverso una composizione percentuale dei suoi componenti tra “laici” e “togati” voluta nel 1948 e che è stata d’esempio alla costituzione di molti organi di governo autonomi che dal nostro sistema hanno tratto ispirazione.
L’indipendenza e l’autonomia della magistratura, cioè il fatto che il giudice debba decidere secondo legge e coscienza e senza condizionamenti, sono parole di cui si è spesso abusato, ma costituiscono il cuore e la garanzia di un sistema che permetta l’affermazione reale dell’eguaglianza tra tutti, principio cardine del nostro sistema costituzionale, e ancor più delle nostre radici culturali. Pietro Calamandrei, il grande giurista che dei passaggi fondamentali della Costituzione fu motore insostituibile, ci ricorda, con la sua espressione “quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra” quanto tali valori siano posti a garanzia di ognuno di noi. Ben vengano, quindi, le riforme, ma che siano chiari gli obiettivi e spiegate le ragioni dell’agire, perché mai si debba pensare, come diceva Solone che “la giustizia è come una tela di ragno: trattiene gli insetti piccoli, mentre i grandi trafiggono la tela e restano liberi!”.
Paolo Auriemma
Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica di Roma
Già membro del Consiglio Superiore della Magistratura