Il Pd, partito di maggioranza relativa, ha la golden share ed è investito della maggiore responsabilità politica ed istituzionale. Prima di cercare condivisione nella maggioranza e con le opposizioni, il premier deve perciò vincere la sfida di tenerlo unito: ben conoscendo la storica propensione del suo partito di accendere roghi dove bruciano, sul fuoco di veti incrociati, i nomi dei suoi stessi leader. Non essere uniti su un nome del Pd vorrebbe dire distruggere irrimediabilmente l’opportunità politica di portare ai vertici delle istituzioni, Quirinale e Palazzo Chigi, due uomini del Partito Democratico. Cercare l’intesa interna con la riottosa minoranza, compattare i 460 grandi elettori Dem, è dunque la mission delle prossime ore.
In Forza Italia la situazione è praticamente la stessa. Silvio Berlusconi, cambiando il suo schema di gioco, ha offerto a Renzi tre settimane fa la sua disponibilità a votare un candidato anche del Pd, purché competente, garante, equilibrato. Ma lo stop sulla norma ‘salva-Cav’ ha complicato la partita, mettendo in discussione alcuni assetti fondamentali del Patto del Nazareno, incentrato su un’intesa sul Colle che non lo escluda e anzi lo riabiliti del tutto politicamente. Dei 150 grandi elettori azzurri, però, una quarantina non risponde a Berlusconi ma al ribelle Raffaele Fitto. E potrebbe trascinarsi dietro la silenziosa rivolta di altri avversari del Nazareno. Dimostrare che governa il suo pacchetto di voti diventa essenziale anche per il Cav.
Anche i centristi di Area Popolare (nate dalla complicata fusione di Ncd, Udc, pezzi di Sc e di centro), hanno un centinaio di grandi elettori che si richiamano al Ppe, ma ancora non hanno una chiara direzione. Alfano potrebbe far passare dalle scelte sul Quirinale la ricostruzione di un rapporto politico con Berlusconi (per questo ribadisce “non poniamo veti, ma non siamo alle primarie del Pd”) ma non tutti i suoi sono disponibili a seguirlo sul terreno della ricomposizione del centrodestra.
La Lega di Salvini ormai viaggia per contro proprio, e ha lanciato l’hashtag #nonunaltrodisinistra. Quanto ai grillini, avrebbero l’occasione di prendere parte a pieno titolo alla scelta sul Colle, come il premier li ha più volte chiamati a fare. Per ora il leader – dopo aver perso per strada 26 gradi elettori, ormai fuori dal movimento – sta alla finestra, per vedere quali e quante saranno le divisioni nel Pd. Poi sottoporrà al web ogni decisione finale.
Più che anticipare nomi, per la paura di “bruciarli”, il lavoro di questi giorni è dedicato a tracciare non solo un profilo, ma un vero e proprio identikit del successore di Napolitano. E ogni partito lancia il proprio messaggio: “non di sinistra”, “con esperienza”, “una personalità”, “una donna”, “conosca le istituzioni”, “riconoscibile all’estero”, “non vicina al premier”, “capisca di economia”. Agganciare nomi a questi identikit non è facile, perché sono diversi i profili che si avvicinano ora all’una ora all’altra descrizione. Molto quotato attualmente c’è Veltroni, ma gira anche il nome della Pinotti; e ancora tanti altri nomi come Piero Fassino, Mario Draghi (ma lui ha sempre smentito di avere un interesse per questo incarico); Giuliano Amato (non digerito però da una parte del Pd), Graziano del Rio (forse un po’ troppo vicino a Renzi), Marta Cartabia (zona Corte Costituzionale), Anna Finocchiaro (reduce però da alcuni veleni pseudo giudiziari ), Sergio Mattarella, Romano Prodi, messo per ultimo in questo elenco ma forse… il più probabile.