QUELL’INCIDENTE DELLA BAIA DEI PORCI CHE FECE TREMARE IL MONDO

Logo Interris - QUELL'INCIDENTE DELLA BAIA DEI PORCI CHE FECE TREMARE IL MONDO

Logo INTERRIS in sostituzione per l'articolo: QUELL'INCIDENTE DELLA BAIA DEI PORCI CHE FECE TREMARE IL MONDO

Sono passati 55 anni da quel lontano 1961, quando circa 1.500 esuli cubani, addestrati e guidati dalla Cia, sbarcarono sulla “Playa Giron” con l’intenzione di invadere l’isola senza successo. Considerata da alcuni analisti uno dei più grossi flop degli Stati Uniti dal punto di vista strategico, l’invasione della Baia dei Porci da parte di un gruppo di anti-castristi esuli e forze statunitensi intendeva rovesciare il regime di Fidel Castro, ma fallì in poco più di due giorni.

L’allora “lider maximo” la declamò come “la più grande sconfitta dell’imperialismo nordamericano nell’America Latina”. Ma a distanza di oltre cinquant’anni, anche se Fidel ha ceduto il potere al fratello minore Raul che ora, dalla tribuna del Congresso del Partito comunista, annuncia la volontà di rinnovare la classe dirigente cubana e il varo di riforme economiche, i rapporti tra Usa e Cuba sono notevolmente cambiati.

“Con la fine dell’embargo degli Usa, ci sarà più libertà a Cuba”. Questo fu l’auspicio che il cardinale segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, ha espresso in un’intervista alla vigilia del viaggio di Papa Francesco a Cuba e negli Stati Uniti. “C’è da sperare e da augurarsi che una misura di questo genere, cioè una liberalizzazione a livello di vincoli e di legami soprattutto a livello economico, possa portare anche una maggiore apertura dal punto di vista della libertà e dei diritti umani, un fiorire di questi aspetti fondamentali per la vita delle persone e dei popoli. Sul tema dell’embargo, la posizione della Santa Sede è ben nota ed è una posizione contraria”.

“L’embargo, per il tipo di sanzione, provoca disagi e sofferenze nella popolazione che lo subisce. Per questo motivo, la Santa Sede ha sempre appoggiato le mozioni che chiedono una revoca dell’embargo a Cuba”. Quindi, “c’è da sperare, come dicono i vescovi, che una misura di questo genere, cioè una liberalizzazione a livello di vincoli e di legami, soprattutto a livello economico, possa portare però anche una maggiore apertura dal punto di vista della libertà e dei diritti umani, un fiorire di questi aspetti fondamentali per la vita delle persone e dei popoli”.

Mattia Sheridan: