Una lista stilata dall’Interpol è finita sul tavolo dell’antiterrorismo il mese scorso. In essa sono contenuti i nomi di centosettantre appartenenti all’Isis in procinto di attaccare in Europa a seguito della diaspora dei seguaci del Califfo dovuta alle sconfitte subite in Medio Oriente.
Addestrati per causare morti e feriti
La polizia criminale internazionale non precisa se gli appartenenti a questa brigata siano già sul suolo europeo o meno. Di sicuro c’è – come riporta il Guardian – “che potrebbero essere stati addestrati per costruire e piazzare ordigni esplosivi in modo da causare numerosi morti e feriti”.
Jihadisti in Kosovo
Campi d’addestramento di tal risma si trovavano e forse si trovano ancora nei territori di Iraq e Siria occupati dallo Stato Islamico. Ma non solo. Diverse roccaforti militari dell’Isis proliferano a circa un’ora di volo da Roma.
Aspiranti jihadisti verrebbero istruiti a maneggiare le armi e apprendono tecniche di guerriglia tra le campagne del Kosovo, l’antica regione serba che si è autoriconosciuta indipendente da Belgrado nel 2008 dopo le guerre innescate dalla dissoluzione dell’ex Jugoslavia. A fare da istruttori, figurerebbero ex paramilitari dell’Uck, l’esercito di liberazione ai tempi del conflitto con la Serbia, considerati eroi in patria. Può rendere l’idea il fatto che appartenesse all’Uck anche Ramush Haradinaj, eletto primo ministro del Kosovo nel giugno scorso.
Almeno cinque campi d’addestramento
È stato il portale russo Sputnik a lanciare l’allarme con dati piuttosto dettagliati su quanto avverrebbe nel cuore dei Balcani. Citando una fonte vicina ai servizi segreti, l’articolo pubblicato un anno fa spiega che sarebbero almeno cinque i campi d’addestramento dei miliziani islamici in Kosovo.
La piovra dell’Isis avrebbe allungato i suoi tentacoli su Ferizaj, Gjakovica e Dečani, dove si trova il campo più grande, mentre cellule fondamentaliste minori sarebbero state individuate a Prizren e Pejë.
Monastero ortodosso nel mirino
Si tratta di luoghi poco noti ai più, sebbene tutt’altro che insignificanti. Nel distretto di Dečani, ad esempio, è situato il monastero ortodosso di Visoki Dečani, risalente al 1330. Culla della cristianità ortodossa serba e scrigno di tesori artistici, riconosciuto patrimonio Unesco, il monastero è stato già oggetto di diversi attacchi, realizzati o sventati.
A gennaio quattro persone a bordo di un’automobile sono state fermate nei pressi del luogo sacro da un’azione congiunta della Kosovo Police (Kp) e della Kfor (la forza di pace Nato che si trova sul posto dalla fine della guerra del 1999). A bordo dell’auto, oltre a testi di predicazione radicale islamica, sono stati trovati un kalashnikov, una pistola e diverse munizioni. I quattro fermati, tutti kosovari di etnia albanese, erano pronti per assaltare il monastero.
Non si sarebbe trattato di un fatto nuovo. Dalla fine della guerra già quattro volte l’edificio ha subito attacchi armati, ma soltanto per uno di questi è stato rintracciato e arrestato il responsabile. Il protrarsi di episodi simili ha portato l’abate di Visoki Dečani, Sava Janjic, a sottolineare l’importanza della protezione da parte del Kfor (guidata da un contingente italiano).
La Nato non fa paura ai terroristi
La presenza della Nato in questa area dei Balcani, tuttavia, non sembra essere un efficace dissuasore nei confronti dei miliziani islamici. La conferma arriva dalla città di Ferizaj, che compare nella lista pubblicata da Sputnik. Anche questo è un nome che, benché suoni poco famigliare alle orecchie dei più, è attribuito a un luogo dall’importanza nevralgica. Ferizaj si trova infatti a pochi chilometri da Sojevë, dove c’è Camp Bondsteel, la più grande struttura militare degli Stati Uniti realizzata in Europa nel 1999, durante la guerra dei Balcani.
Camp Bondsteel ha un perimetro lungo circa quattordici chilometri ed è l’emblema della tutela Nato in Kosovo, che consta di circa settemila fra soldati e impiegati civili. Un simile dispiegamento non è però riuscito ad impedire che il Kosovo diventasse un enorme centro di reclutamento di adepti dell’Isis.
Anzi, la base a stelle e strisce è valsa piuttosto da trampolino di lancio per aspiranti jihadisti. Secondo una voce mai smentita, a Camp Bondsteel avrebbe lavorato tale Lavdrim Muhaxheri, comandante della famigerata “Brigata balcanica” al servizio del Califfo in Medio Oriente.
Le radici velenose del fondamentalismo islamico
Talmente capillare è la presenza dei fondamentalisti islamici che avrebbe dunque contaminato anche le postazioni Nato, presenti sul posto proprio per stroncare la minaccia terroristica. Del resto le radici velenose del fondamentalismo islamico sarebbero state piantate ormai diversi anni fa in Kosovo. Tra le macerie delle guerre nei Balcani, in questo lembo di terra tra Albania e Macedonia sorsero come funghi minareti, scuole coraniche e presunte ong finanziate da ricchi emiri e principi musulmani.
Lo 007 interpellato da Sputnik ritiene che sarebbe proprio in questi luoghi che avverrebbe un primo livello di reclutamento giovanile. “Inoltre – prosegue l’agente segreto – in ogni campo c’è qualche miliziano dell’Isis incaricato di decidere se la recluta verrà mandata in guerra, oppure, preparata a compiere attentati suicidi”.
“Colpire l’Italia”
Ora che la guerra ha preso una piega sfavorevole in Medio Oriente, è facile supporre che venga privilegiata l’opzione kamikaze. Ecco allora che torna d’attualità un’informativa del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) datata novembre 2016 che recita: “L’Isis ha dato mandato ai mujahed kosovari o comunque dell’area balcanica di colpire il territorio italiano”.
L’indicazione sarebbe filtrata dal circuito delle carceri della penisola e non è chiaro se si tratta di un’intercettazione oppure di una confidenza raccolta da qualche agente della polizia penitenziaria. A dare risalto alla notizia, una nota dei Servizi Segreti riportata da alcuni organi d’informazione: “Le intensificate attività di proselitismo radicale nei Balcani presentano elevati profili di minaccia per l’Italia, in virtù della sua contiguità geografica e della presenza sul territorio nazionale di compagini originarie di quei Paesi, che rimangono chiuse e autoreferenziali laddove i vincoli etnici risultano più forti della spinta all’integrazione”.
Riflettori su comunità kosovare in Italia
I riflettori sono puntati su diverse comunità kosovare disseminate sul territorio italiano. I giornali fanno i nomi di quella di Monteroni d’Arbia in provincia di Siena, e di quelle presenti a Lecco e a Cremona. A marzo è stata sgominata una cellula jihadista a Venezia, formata per l’appunto da quattro kosovari, di cui uno minorenne. Nelle intercettazioni di polizia e carabinieri, i quattro fanatici commentavano gli attentati avvenuti in Europa negli ultimi mesi esprimendo la volontà di “fare qualcosa di simile anche a Venezia”.
Foreign Fighters kosovari tornano in patria
Desiderio che è stato però stroncato dal pronto intervento delle forze dell’ordine. Il fuoco che ardeva nell’animo di questi quattro immigrati kosovari, continua ad infiammare tanti loro connazionali a piede libero. Il Kosovo, i cui due milioni di abitanti sono in larghissima maggioranza musulmani (90 per cento), continua infatti a pagare un tributo altissimo al terrorismo islamico.
Il 12 luglio scorso l’emittente Kljan Kosova, tv della capitale del Kosovo Pristina, citando il Centro per gli studi sulla sicurezza, rendeva noto che dei trecentosedici estremisti islamici kosovari recatisi a combattere tra le fila dei jihadisti in Medio Oriente, centodiciassette hanno già fatto ritorno in patria.
La sfida all’Europa
E da questo nodo cruciale dei Balcani, gli jihadisti sono pronti a lanciare il loro guanto di sfida verso l’Europa. Nei mesi scorsi sulla facciata della chiesa ortodossa di San Nicola, a Pristina, è apparsa la scritta in vernice nera “Isis is coming”, “l’Isis sta arrivando”. Il messaggio è fin troppo chiaro.