Ho conosciuto un anno fa un ragazzino di diciassette anni che era partito dal Camerun a quattordici. Viaggio dell’orrore, come per tanti della sua età. Adescato da trafficanti senza scrupolo che gli avevano inculcato il mito del calciatore Samuel Eto’o col suo stipendio di otto milioni di euro annui.
La trafila in squadre italiane
Sbarcato in Italia, entra subito in prova tra le fila di una squadra di serie B del Sud, ma dopo due anni, mentre ottiene un permesso di protezione internazionale, viene trasferito al Nord: non è abbastanza efficiente, non bastano i suoi slanci da attaccante. Ha tolto all’allenamento troppo tempo nel viaggio dal Camerun all’Italia – un anno trascorso in Libia come schiavo moderno nell’edilizia, quattordici ore al giorno senza nessuna assistenza sanitaria e garanzia di pagamento – poi in viaggio per mesi nascosto di camion in camion a volte anche tra cadaveri di connazionali.
Venti mesi di viaggio
Come molti migranti provenienti dal Camerun ha attraversato il Ciad per raggiungere il Niger e proseguire in un pick up fino in Libia. Costo di questa parte infernale del tragitto circa duemila euro. Venti lunghi mesi per arrivare dalla sua terra alle coste del Sud Italia. È convinto di ripagare il suo debito contratto per il viaggio verso l’Europa quando sarà famoso in serie A. È stato strappato alla sua famiglia, ignara della sua fuga organizzata dai trafficanti, per un goal, comprato e venduto per il calcio-mercato.
Il trasferimento in Germania
Anche al Nord, mentre è ospite di una cooperativa che lo accoglierà fino al diciottesimo anno e sei mesi e non un giorno di più, un anonimo amico gli propone di allenarsi e tentare con un altro provino in una squadra di serie B. Ma anche questo va male: il giovane manca di robustezza, che doveva costituirsi quando il fisico era più malleabile e giovane. L’ultimatum lo porta fuori dalla comunità per minori stranieri non accompagnati. Per diversi mesi – siccome nessuno lo accoglie perché il suo tempo di assistenza è scaduto – con piccoli lavori stagionali continua a studiare per costruirsi un futuro e ad arrangiarsi da solo economicamente. Poi si decide a partire per la Germania perché c’è un chiodo fisso nella sua testa che non gli permette di integrarsi: il sogno di calciatore crede che possa realizzarsi altrove e che in Italia il suo talento non sia stato riconosciuto.
Tratta di esseri umani
Questa è la storia – una tra le tante – di un adolescente adescato e ingannato per il sogno di diventare un famoso calciatore. Sono oltre quattrocentomila infatti i lavoratori che rischiano di essere vittime del caporalato o di ritrovarsi sfruttati in condizioni servili. Il tutto per un giro d’affari globale superiore ai trentaduemiliardi di dollari l’anno. E i ragazzini e le ragazzine – secondo la Risoluzione del Parlamento europeo per la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani del 2016 – rappresentano circa il 16% delle vittime accertate della tratta di esseri umani e sono “categorie particolarmente vulnerabili, dato che i minori vittime di tale tratta riportano danni fisici, psicologici ed emotivi gravi e duraturi”. Numeri agghiaccianti se si pensa che solo nel 2015 – secondo i dati dell’Europol – sono scomparsi circa diecimila minori non accompagnati dopo il loro arrivo in Europa.
È fondamentale continuare a lottare contro i trafficanti di esseri umani e tutta la filiera dei loro intermediari europei, che sfruttano la vulnerabilità dei migranti pronti ad attraversare il mare per raggiungere l’Europa non solo quando si tratta di calcio. Ed è importante soprattutto dare un volto a questi piccoli schiavi invisibili che nelle variegate forme dei crimini vanno ad infoltire il popolo dei migranti disagiati. Quelli che erano destinati alla tratta, quelli che erano destinati ad essere sfruttati col lavoro nero, con l’elemosina, con le illusioni del mondo del calcio e che, proprio perché adolescenti, si possono meglio circuire e soprattutto è difficile che parlino perché hanno il terrore dei cadaveri incontrati nel deserto, nelle prigioni libiche e sui gommoni fatiscenti che li hanno portati fino alla tanto attesa frontiera europea.
Il caso di Prato
Certo, dalle indagini avviate dalla Procura di Prato potrà finalmente venire a galla il triste fenomeno del traffico dei baby calciatori, delle false maternità, dei documenti con cui sono state aggirate le norme Fifa, delle partite truccate… Ma c’è da chiedersi anche che fine hanno fatto tutti gli altri anonimi ragazzini africani che hanno inseguito il sogno del calciatore ma non sono mai stati tesserati. E che forse, come Michael, hanno attraversato il confine tentando invano di “sfondare” in campionati tedeschi o francesi. Si tratta di vittime, costrette a racimolare i soldi per pagare quel debito che il successo mancato in verità non potrà mai ripagare.