C’è una generazione che rischia di sparire. Quella che fugge dalla guerra insieme ai propri genitori per trovare un’oasi di pace e si trova catapultata in un mondo diverso, talvolta ostile, nel quale l’accoglienza è una fredda macchina burocratica e i rapporti umani sono ridotti al minimo. E dove persino la scuola diventa una chimera. Perché tra le conseguenze meno conosciute dei conflitti c’è l’alto tasso di analfabetismo prodotto. Una tragedia nella tragedia che ben conoscono 250mila tra bambini e adolescenti siriani approdati in Libano e privati, senza istruzione, della possibilità di costruirsi un futuro. E quindi, un domani, di tornare nella propria terra d’origine con un bagaglio culturale in grado di trasformarli in una classe dirigente migliore di quella che li ha preceduti.
L’allarme è stato lanciato da Human Right Watch che sottolinea come “l’alto numero di minori rifugiati fuori dalle scuole è una crisi immediata. Ce ne sono alcuni che non hanno mai messo piede in una classe”. Un problema particolarmente grave per i ragazzi tra i 15 e i 18 anni: di questi, solo il 3% è risultato iscritto negli istituti libanesi quest’anno. Nonostante gli sforzi delle autorità locali e dei donatori internazionali, la situazione resta critica, e le politiche governative vengono spesso disattese o addirittura ignorate. Uno schiaffo al diritto all’istruzione.
Nella valle della Bekaa, decine di campi rifugiati sono pieni di bambini che non partecipano a progetti formativi. Per la 15enne Mariam Khatib, “le persone non sono niente senza cultura”. Ne è consapevole il padre, Imad al-Din, che tuttavia non ha i mezzi per mandarli a scuola. “La nostra situazione finanziaria non lo permette e finora non ho ricevuto l’aiuto di nessuno”, ha sottolineato, dicendosi “preoccupato per il loro futuro se non ricevono un’istruzione”.
I rifugiati siriani sostengono che le amministrazioni scolastiche chiedano loro documenti di residenza e rette da pagare, mentre le scuole pomeridiane promesse non vedono la luce. Inoltre, ha ricordato Hrw, ci sono tutta una serie di ostacoli aggiuntivi, come la spesa per i trasporti per recarsi a scuola, le molestie a cui sono soggetti, insieme all’insufficienza di spazi e insegnanti. E, nonostante questo, ai docenti siriani non viene permesso di insegnare. Gli attivisti siriani chiedono anche l’apertura di scuole direttamente nei campi profughi per ovviare alle distanze da percorrere e ai rischi per i bambini. “è improbabile che i bambini siriani saranno in grado di godere del loro diritto a un’istruzione a meno che il Libano non attui riforme che vadano oltre le attuali politiche e riceva nuovi fondi dai donatori”, ha sottolineato Hrw.
Il problema, ovviamente, non riguarda solo i bambini rifugiati in Libano. Secondo l’Unicef in 22 Paesi colpiti da guerre circa 24 milioni di minori non frequenta le scuole. Il rapporto sottolinea che circa un bambino su 4 dei 109,2 milioni di in età da scuola primaria e secondaria – generalmente tra i 6 e i 15 anni – che vivono in zone di conflitto non sta seguendo programmi di istruzione. In Sud Sudan si trova il più alto numero di ragazzini non scolarizzati. Il Niger è al secondo posto con il 47%, seguito da Sudan (41%) e Afghanistan (40%).