Qualcuno lo ha forse guardato con disgusto, magari con disprezzo, molti sono passati oltre indifferenti, mentre, con discrezione vestita di umiltà, quest’uomo di mezza età rovistava nel cestino dei rifiuti, alla ricerca di scarti di cibo, in pieno centro, a Milano. È uno dei tanti, anche nella città “da bere” e da mangiare, la metropoli della vita che sorride. Non per tutti. Anzi, per pochi, e sempre meno.
Siamo poveri, in Italia, molto più rispetto al 2007. I dati del Rapporto 2015 della Caritas Italiana, presentato a Roma, sono inquietanti. Dall’inizio della crisi economica, fino all’anno scorso, i poveri assoluti sono raddoppiati. Oltre 4 milioni di cittadini, il 6,8 percento della popolazione, non hanno da mangiare e da bere né un tetto sulla testa. E anche se i dati Istat promettono una stabilizzazione della situazione, scene come quella di Milano sono sempre più frequenti, nei quartieri delle città di Nord e Sud, e anche di periferia. Uno schiaffo alla solidarietà fatta solo di parole.
Cambia il volto della povertà. È quello dei nostri vicini, degli amici, dei familiari. Non più soltanto anziani e persone senza lavoro o famiglie con più di tre figli, ma anche giovani, lavoratori con una occupazione stabile e uno stipendio, genitori separati e famiglie con due bambini. C’è un peggioramento generale delle condizioni di vita e una riduzione del reddito per tutti, trasversale alle classi sociali. Il responsabile scientifico del Rapporto Caritas, Cristiano Gori, docente di Politiche sociali all’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha dichiarato all’agenzia di informazione Sir che “l’indigenza è ormai il tratto abituale del nostro Paese”.
Un’emergenza divenuta abitudine, dunque, che richiede interventi non più procrastinabili. I miglioramenti nelle politiche di welfare sono stati marginali. Le misure finora adottate dal governo – come la Social Card, il bonus di 80 euro per i dipendenti, il bonus bebè e per le famiglie numerose e l’assegno di disoccupazione – sono state inadeguate e non sono servite agli incapienti e non auto-sufficienti, a coloro, cioè, che hanno un reddito al di sotto del minimo di sopravvivenza. In particolare, ultracinquantenni, a bassa scolarità, con familiari a carico. Il Rapporto della Caritas si intitola, infatti: “Le politiche contro la povertà in Italia. Dopo la crisi, costruire il welfare”.
“È oltraggiante che si continuino a dare gli avanzi ai poveri! C’è bisogno di misure strutturali e risorse”, ha detto don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana. L’Italia e la Grecia sono i soli Paesi europei che non prevedono un reddito di cittadinanza e stanziano fondi di sostegno alla povertà i più bassi nell’area euro (soltanto lo 0,1 percento del Pil nazionale, contro una media europea dello 0,5 percento). “La gran parte dei finanziamenti pubblici disponibili è dedicata a prestazioni monetarie nazionali, mentre i servizi alla persona, di titolarità dei Comuni, sono sottofinanziati”, si legge nel Rapporto. Gli aiuti alla finanza, insomma, sono superiori a quelli per i cittadini in difficoltà. E l’annunciato taglio della Tasi e dell’Irpef non otterrebbe grandi risultati, secondo i ricercatori.
La Caritas Italiana chiede l’introduzione del Reddito di inclusione sociale (Reis) proposto dall’Alleanza contro la povertà, il Patto sociale siglato da Caritas e Acli, e propone un piano di stanziamenti, dal 2016 al 2019, con interventi di 1,8 miliardi di euro nel 2016 fino a 7,1 miliardi di euro nel 2019, per sostenere tutti i bisognosi. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, pur assicurando un aumento delle risorse di Sostegno attivo all’inclusione (Sai), anche in altre città italiane, oltre le undici previste nel Piano di stabilità di quest’anno, ha dichiarato che resteranno comunque di gran lunga inferiori a quelle chieste nella proposta di introduzione del Reis.