“Una storia uguale a quella di tanti altri ragazzi”. Così Luca, con molta semplicità e con una serenità quasi disarmante, descrive il suo vissuto, il suo passato. La sua voce è tranquilla e, nonostante la conversazione telefonica, a tratti si percepisce che sta sorridendo quando riaffiorano alla memoria alcuni ricordi. La sua storia inizia in Germania, dove i suoi genitori si erano trasferiti – insieme a una colonia di greci e jugoslavi – per cercare di sfuggire alla crisi sociale ed economica che attanagliava l’Italia. “Sono figlio di emigrati, sono nato in Germania, ma non quella che conosciamo ora, era una Germania lontana, quella del muro di Berlino”. Crescendo inizia a confrontarsi con le prime difficoltà, si sente emarginato dagli altri ragazzi che formano gruppi perché hanno in comune le origini, la lingua, la cultura, mentre lui non si sentiva “né carne né pesce”.
Arivato in Italia con i suoi genitori, Luca inizia a frequentare un cugino che consuma stupefacenti. “A causa del mio carattere debole ho preso lui come modello, come esempio. Avevo solo 14 anni quando ho iniziato con le mie prime storiacce – racconta a In Terris -. Ero un ragazzo chiuso, pieno di paure“.
Il desiderio di una felicità momentanea ed effimera, fa cadere Luca nel tunnel della tossicodipendenza, fino a quando nella sua vita compare una donna, più grande di lui di sette anni, che diventa la sua compagna. “In quel periodo non consumavo stupefacenti, la mia droga era la mia ‘morosa’. Avevo sostituito una dipendenza con un’altra”. La relazione con una donna adulta, più grande di lui lo esaltava, lo faceva sentire importante, ma qualcosa non andava. “Ho fatto di tutto per farmi lasciare – spiega con sincerità -. A quel punto avevo la scusa perfetta per ricominciare a drogarmi”. Solo dopo aver bruciato tutto intorno a se, anche la famiglia, si convince a chiedere a aiuto per uscire da quel limbo. È così che ha conosciuto la Comunità Papà Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi nel 1968.
“Qui è iniziata la mia avventura, ho iniziato a conoscermi”. Il suo percorso all’interno della comunità terapeutica è durato 4 anni. “Quando sono arrivato a toccare dei punti importanti della mia vita ho dovuto chiedere aiuto alla fede. Non riuscivo a perdonarmi“. L’aiuto inaspettato è arrivato tramite don Nivio, un sacerdote membro dell’Apg. “Era arrivato il momento di confessarmi. Grazie al perdono ricevuto dal Signore, sono riuscito a perdonarmi anche io. È proprio da quel momento è ricominciata la mia vita“.
Durante l’ultima fase del programma di recupero Luca parte per un’esperienza come volontario in Cile, dove passa un anno in una pronta accoglienza per minori. Tornato in Italia, decide di tornare nel mondo del lavoro, ma si accorge che in quell’ambiente mancano quei valori importanti che da poco aveva riscoperto grazie alla Papà Giovanni. Decide così, insieme al responsabile Paolo Ramonda, di partire nuovamente come missionario in Cile. Dopo dieci mesi in una pronta accoglienza, gli viene chiesto di essere il responsabile della comunità terapeutica. “Ho dovuto fidarmi, non potevo mettere i puntini sulle ‘i’ – spiega -. Avevo dato disponibilità per due anni. Ne sono passati otto”, aggiunge ridendo. In Cileha incontrato il vero amore è si è sposato. Dopo il matrimonio ha chiesto di non essere più il responsabile della struttura, e ora con lui ci sono tre fratelli di comunità che si adoperano per far uscire i giovani dal tunnel della dipendenza.
“Nella Comunità riesci ad individuare la verità, riesci a capire i tuoi limiti. Questo non ti salva dal commettere errori, ma riconoscerli è punto di appoggio che ti aiuta a rialzarti. Sbagliare, cadere, riconoscere il proprio limite. È come convertirsi nuovamente. Per questo sì che vale la pena vivere”.
“La droga è una ferita nella nostra società, che intrappola molte persone nelle sue reti. Sono vittime che hanno perso la loro libertà in cambio di questa schiavitù” ha detto il Papa a proposito della tossicodipendenza. Purtroppo sono molti i giovani che finiscono in questo tunnel: chi per l’assenza della famiglia, chi per moda, chi per provare qualcosa di diverso. Non c’è mai un’unica causa, non si può generalizzare, così come non si può cadere nell’errore di classificare una persona per il suo vissuto. Ognuno, come ha anche ribadito il Pontefice, “ha una storia personale diversa, che va ascoltata, compresa, amata e, per quanto possibile, sanata e purificata”.