PERCHE’ UCCISERO MARCO BIAGI

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Sono passati ben 15 anni dalla morte del giuslavorista Marco Biagi, docente presso l’Università di Modena, ucciso dalle Nuove Brigate Rosse la sera del 19 marzo 2002. Stava appena rincasando con la sua bicicletta inforcata alla stazione ferroviaria di Bologna, dopo un viaggio di lavoro in treno per tornare a casa. I terroristi lo aspettavano per dargli la morte; non gli perdonavano il suo infaticabile attivismo nel saper trovare nuove soluzioni normative per il mercato del lavoro italiano, all’epoca il più lontano da quelli degli altri Paesi nostri concorrenti. Il loro disegno era quello di annullare la sua capacità di collegare i vari attori sociali e politici riformatori nella battaglia di cambiamento. La sua proposta era di garantire nuove protezioni da legare alla persona e non più al posto di lavoro, per affrontare meglio la esigenza di maggiore flessibilità in una organizzazione del lavoro fortemente mutata. Lo stroncarono con sei colpi di pistola, appena si era apprestato ad appoggiare la sua bici accanto al portone di casa.

La visione

In quell’epoca il mercato internazionale era in forte cambiamento per la irruzione di tanti e nuovi concorrenti. Le tecnologie avevano cambiato modalità e logiche della organizzazione delle produzioni nelle aziende manifatturiere e dei servizi. Tuttavia la politica, il Sindacato e le stesse imprese, mostravano un forte ritardo culturale di fronte ai vistosi cambiamenti, e non erano disposti ad essere conseguenti di fronte alla minore produttività e competitività. Alle grandi fabbriche si erano sostituite un numero altissimo di piccole, l’organizzazione aziendale della produzione era fortemente cambiata. Alle vecchie certezze occupazionali e di protezione sociale occorreva opporre logiche nuove e più efficaci. Altri Paesi Ocse da tempo avevano provveduto ad adeguarsi alle trasformazioni, ma la sinistra sindacale con l’appoggio di importanti settori politici culturalmente affini, scatenò una violenta offensiva di discredito contro le proposte di riforma su cui era impegnato Biagi e tanti altri.

Passi indietro

Molto tempo è passato da quegli eventi, ma i populisti del sociale e della politica hanno continuato imperterriti la loro azione conservatrice. Li abbiamo visti all’opera nella vicenda Fiat con l’appoggio quasi totale dei maggiori media della carta stampata e delle Tv, nel sostenere tesi – è il caso di dire – fuori del mondo, con relativa accusa di ” venduti ” rivolta ai firmatari degli accordi aziendali che hanno consentito l’investimento di circa 5 miliardi di euro nelle fabbriche italiane, salvando centinaia di migliaia di lavoratori. Ancora oggi continuano propagandare impossibili redditi minimi per tutti a carico dello Stato, oppure ostacolando – come accade con il referendum sui voucher , l’uso di strumenti di rapporto di lavoro occasionale che porterebbe solo a maggiore lavoro illegale. Insomma sono per la mummificazione dei contratti, delle leggi, delle relazioni industriali. La rimozione totale dei voucher decisa nel parlamento per calcoli politici con svariate motivazioni, ben descrive la incresciosa situazione italiana.

Memoria

C’è da sperare che nel ricordo di Marco Biagi, nel giorno della ricorrenza della sua morte, alla solita retorica di chi ha la coda di paglia, ci sia qualcuno che sappia ricordare la responsabilità che taluni hanno avuto negli accadimenti tristi della nostra storia, e per la confusione che ancora oggi si continua ad alimentare. L’Italia ha bisogno di modernità, l’opera ed il sacrificio di Biagi sono un esempio per il futuro. Egli ripeteva ossessivamente che si progredisce solo se sappiamo vivere nel contesto in cui ci troviamo. Ma per troppo tempo il Paese ha seguito le suggestioni del populismo sociale e politico, ed a questo deve sostituirsi il tempo della concretezza e della responsabilità.

Raffaele Bonanni: