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Per non morire di ebola? Basterebbe un po’ di acqua

È un editoriale – pubblicato sulla rivista Lancet – la pietra dello scandalo che ha sollevato molte polemiche sul tipo di cure che stanno ricevendo le persone contagiate dal virus ebola in Africa. Infatti, secondo Ian Roberts, della London School of Hygiene and Tropical Medicine, e Anders Perner, della University of Copenaghen, “le organizzazioni si sono fatte fuorviare nel considerare Ebola una malattia per cui non c’è trattamento, mentre ci sono alcune cose semplici, come rimpiazzare i fluidi persi, fino a 10 litri al giorno a causa di vomito e diarrea, e ristabilire i livelli di elettroliti, che possono aumentare di molto le probabilità di sopravvivenza”.

Si è scatenato così un botta e risposta – tra le Ong e i ricercatori che si stanno occupando dell’epidemia – a suon di articoli ed interviste sui più famosi giornali mondiali. Anche Paul Farmers, vicepresidente dell’Ong statunitense Partners in Health, in un’intervista al New York Times ha espresso tutta la sua contrarietà alle decisioni messe in campo da Medici Senza Frontiere (Msf). Infatti l’associazione di medici avrebbe scelto di non effettuare la reidratazione via endovenosa a causa dell’alto numero di pazienti oltre ai rischi dovuti ad una procedura che prevede di inserire un ago in una vena di una persona sicuramente contagiata.

“Ci sono persone che rifiutano gli aghi, altri che se i tolgono – spiega alla Bbc Catherine Hoolihan di Save The Children – inoltre c’è bisogno di qualcuno che cambi le sacche”. A quanto sembra, basterebbero delle cure “basiche” per poter ridurre la mortalità causata dal virus ebola, ma a causa della mancanza di personale denunciata dalle Ong che lavorano sul campo, queste soluzioni non potranno essere messe in pratica.

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