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Pensioni, il rinvio è mortale

E’ di questi giorni il dibattito sulla riforma delle pensioni, finalizzata ad introdurre forme di flessibilità in uscita rispetto ai tempi lunghi della legge Fornero, su cui sembra aggrovigliarsi il pensiero del governo che attraverso i suoi ministri ne anticipa quotidianamente soluzioni e misure, spesso contraddittorie tra loro, creando non poche difficoltà di comprensione tra gli addetti ai lavori e tra lavoratori e lavoratrici.

All’interno di questo quadro generale ci sono due questioni in particolare su cui come Cisl stiamo incalzando l’esecutivo in questi giorni, attraverso specifici presidi unitari: dare risposte certe e immediate ai cosiddetti esodati riconoscendo loro il diritto alla pensione e prorogare l’opportunità prevista dalla misura “opzione donna”, introdotta a suo tempo dal governo Maroni e confermata poi dalla stessa legge Fornero, che in via sperimentale, fino al 31 dicembre 2015, prevede per le lavoratrici con 35 anni di contributi e almeno 57 anni di età – che in adeguamento alla speranza di vita sono diventati nel 2014 57 anni e 3 mesi per le lavoratrici dipendenti e 58 anni e 3 mesi per quelle autonome – la possibilità di andare in pensione optando per un sistema di calcolo totalmente contributivo.

Il tentativo del governo è quello di rinviare il tutto alla prossima legge di stabilità e inserire i due argomenti nella discussione complessiva della riforma del sistema, ma su questo la Cisl si è detta chiaramente contraria chiedendo, da un lato, la soluzione immediata della questione esodati facendo leva sulle risorse già esistenti e attribuite al fondo di cui alla legge 228/2012 e destinati specificamente a questo scopo, dall’altro estendere l’”opzione donna” ad una platea più vasta di donne e quindi oltre la scadenza prevista, e questo prima che inizi la discussione sulla legge di stabilità con cui invece occorre affrontare modalità strutturali più flessibili nell’accesso generale al pensionamento.

Questo non solo per dare risposte legittime a quanti sono rimasti fuori dal mercato del lavoro e senza una pensione ma anche per ridare speranza nel futuro alle giovani generazioni che partecipano a fatica al mercato del lavoro con tassi di disoccupazione che per quanto scesi recentemente restano comunque al di sopra del 40%, un livello inaccettabile e che divide ulteriormente il Paese in due blocchi, Nord-Sud. Come donne della Cisl, nel condividere pienamente la battaglia che l’Organizzazione sta portando avanti in questa direzione, sentiamo il dovere di riportare alcune preoccupazioni che ci giungono rispetto alla convenienza dell’opportunità “opzione donna”, nel senso che siamo convinte della necessità di una risposta rapida e precisa finalizzata alla proroga di questa misura ma ci proiettiamo anche sulle future condizioni economiche delle pensionate che, in quanto donne, si vedranno aggravare ulteriormente le differenze già presenti in termini di entità dell’assegno di pensione rispetto ai colleghi uomini.

Livelli di occupazione poco più del 46%, carriere frammentate e intermittenti, preponderante presenza nei livelli lavorativi di più bassa qualifica, comportano, a monte, per le donne una pensione più magra, a cui se si sottrae un altro 25-30% in media derivante dalle condizioni della scelta “opzione donna”, in un sistema previdenziale dove saranno solo i contributi effettivi a contare, rischia di diventare qualcosa di eccessivamente pesante. La parità e le pari opportunità sono principi che devono guidare l’azione di governo in ogni ambito e ad ogni livello, sempre, solo così sarà possibile trovare quel giusto equilibrio tra le risorse umane del Paese alla base di una solida coesione sociale.

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