Le immagini del deserto si accavallano alla voce di un solista che in lingua araba sembra rievocare il canto dei minareti, quando i muezzin richiamano all’ora della preghiera. Poi il flauto di pan, le campane tubolari e le percussioni aggiungono un sapore orientale al video e introducono un rap inaspettato. Ancora una volta la musica si trasforma nello strumento più efficace per lanciare un messaggio importate e Pietro dall’Oglio sceglie la metrica scorrevole dei rapper per parlare del fratello e del suo rapimento su cui pesano quasi due anni di silenzio.
E’ proprio in questi casi che l’arte si mette al servizio dell’uomo divenendo un canale di comunicazione di ampio respiro, come accadde per il celebre “We are the World”, brano composto nel 1985 con il quale artisti di tutto il mondo aiutarono la popolazione dell’Etiopia allora afflitta da una grave carestia, o con il più recente “Domani” scritta da Mauro Pagani e cantata da 56 autori e musicisti italiani per accompagnare la ricostruzione dell’Abruzzo dopo il tragico terremoto del 2009.
In “Abuna Paolo” le rime si susseguono tra nostalgia e speranza al ritmo serrato e straziante di chi non vuole dimenticare e ancora cerca risposte di fronte al dramma di un sequestro dietro il quale potrebbe celarsi l’ombra dell’Isis: “Paolo dove sei, con chi sei, stai parlando o stai tacendo, magari hai qualcuno che ti sta ascoltando. Forse hai paura lì da solo, chissà che cosa pensi”.
Una raffica di domande, quasi fossero le munizioni di un’arma per colpire un nemico ancora senza volto, accompagnate dalle immagini della missione del gesuita romano e dalla traduzione araba del testo affinché anche i siriani possano ascoltare. Poi i ricordi lontani colmano quello spazio creato dall’attesa, una sospensione tra il passato e il futuro in cui si spera per il ritorno a casa del sacerdote, un uomo che ha saputo rispondere alla chiamata dell’amore, donando la sua vita al dialogo interreligioso con il mondo islamico e chiamato da molti il profeta della pace.
All’età di 21 anni entra nella Compagnia di Gesù e dal 1982 si trova in Siria nei pressi della cittadina di al-Nabq, a circa 80 km al nord di Damasco, dove avvia la riedificazione dell’antico monastero di “Deir Mar Musa al-Habashi” (San Mosè l’Abissino). Qui dieci anni dopo nasce una comunità ecumenica mista in cui convivono cristiani e musulmani, uno schiaffo a tutti coloro che pensano sia impossibile l’incontro tra fedi diverse, nascondendosi dietro un ottuso estremismo che pretende di stabilire una “religione giusta”.
Nel 2012 arriva uno decreto di espulsione che vuole allontanare Padre dall’Oglio perché la sua attività lo rende inviso al regime. A gennaio dell’anno successivo il gesuita rientra in Siria viaggiando nelle zone controllate dalle forze di opposizione ad Assad e qui si impegna in difficili trattative per la liberazione di un gruppo di ostaggi a Raqqa. E’ nel corso di quest’opera di pace che si perdono le sue tracce. Il 29 luglio del 2013 viene rapito, forse, da un gruppo di estremisti islamici e ancora oggi non si hanno notizie certe sulla sua sorte.
Sul web si alternano informazioni diverse, c’è chi lo dà per morto e chi invece lo ritiene prigioniero dell’Isis. Di fatto però non c’è ancora nessun segnale che possa permettere di pronunciarsi. Il professore libanese Antoine Courbane ha spiegato che la divisione nel mondo arabo tra cristiani e musulmani fa parte di una strategia politica che non ha nulla a che fare con il vivere civile e il modo di affrontare la vita e la storia di due realtà che fanno parte della Siria.
Nel video di Pietro dall’Oglio la musica si fa complice di questa speranza che ancora oggi non abbandona i familiari del gesuita. Ciò che più colpisce di questo brano è la sua conclusione, che come un colpo di scena spegne ogni inquietudine restituendo l’immagine di un uomo nella prova eppure libero perché ha saputo regalare alla sua vita un senso, mettendosi a servizio di ciò in cui crede.