Non conosce davvero confini il dramma vissuto dalla popolazione siriana, vittima di un conflitto che, a più riprese, è stato definito come “la più grande crisi umanitaria della nostra epoca”. A Damasco e Aleppo, solo per citare le città maggiori, secondo le più recenti stime effettuate da organizzazioni come l’agenzia Onu “Unhcr”, sono circa 13,5 milioni le persone ancora bisognose di immediata assistenza, mentre circa 11,5 milioni non hanno accesso alle principali cure sanitarie negli ospedali. Colpa dei bombardamenti, della guerra e delle sue conseguenze non solo in termini di vite perdute, ma anche a livello sociale ed economico: il personale medico è sempre meno disponibile, fuggito o impossibilitato a esercitare la propria missione per mancanza di mezzi; i medicinali, del resto, non sono disponibili che sui canali del mercato nero. A questo si aggiunge l’impossibilità, in alcune parti del Paese, di attivare canali umanitari sufficienti a garantire un’adeguata opera assistenziale ai civili colpiti dagli scontri incrociati. In molte parti, ma non in tutte.
Lì, dove è già possibile effettuare interventi concreti, c’è chi si attiva per ricostruire dal basso, cercando di rifondare le basi della civiltà: è in questo contesto che si inquadra l’operazione “Ospedali aperti in Siria”, messa in atto dal Vaticano attraverso la fondazione “Agostino Gemelli” e l’Avsi (Associazione volontari servizio internazionale), impegnate in un percorso, tutt’altro che facile, di reimpianto del servizio sanitario sul territorio siriano, in particolare nelle due grandi città. Più che sulla realizzazione di nuove strutture ospedaliere, il piano della Santa Sede prevede lo stanziamento diretto di fondi per la formazione di personale medico da impiegare sul posto, ovvero negli ospedali già esistenti, quelli martoriati dal fuoco della guerra civile.
Tra questi l’Ospedale cattolico “Saint-Louis”, nel quale vi è consistente e perpetua carenza di acqua potabile, essendo nondimeno priva di un’adeguata alimentazione elettrica (sostituita da quella a gasolio). Tuttavia, nella pianificazione rientrano anche l’ospedale francese e quello italiano. In sostanza, il piano di “Ospedali aperti”, punta a ri-potenziare il servizio medico-sanitario sul territorio, fornendo al contempo delle prestazioni gratuite e attività di formazione e aggiornamento per il personale locale: “Si vedono atrocità indicibili in Siria – ha spiegato il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria e supervisore del progetto -, ma non bisogna dimenticare gli esempi eroici di umana compassione, di gente che ha perso la vita per aiutare il prossimo. Abbiamo ospedali cattolici in Siria che sono operanti da più di 100 anni, e aiutano ogni bisognoso”. Ed è proprio per la loro piena riattivazione che gli sforzi del progetto verranno convogliati: lì dove è possibile farlo ripartono, lentamente ma con una nuova fiducia, le speranze del popolo siriano.