In una società sempre più tecnocentrica, in un secolo caratterizzato dai conflitti e dai grandi flussi migratori, è sempre più attuale il tema del dialogo tra fede e scienza, tra culture e religioni. È importante quindi ricordare la Lectio magistralis tenuta da Papa Benedetto XVI il 12 settembre 2006 all’università di Ratisbona, in Germania. Un intervento lungimirante che mira ad avvicinare il mondo universitario alla teologia e ad ampliare un concetto di ragione spesso distorto o autolimitato, ma anche a favorire il dialogo tra i popoli, le culture e le fedi, necessario per combattere le violenze della guerra.
Il punto focale del discorso di Ratzinger è la ragionevolezza della fede. Per il Pontefice emerito “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”, distinguendo tra una “ragione ristretta”, tipica del mondo scientifico, ed una “ragione estesa” che può essere trovata soltanto in Dio e racchiude in se stessa anche la prima. Lasciati a se stessi, senza una razionalità più aperta, i progressi scientifici si prestano alla corruzione e ad usi inumani. La scienza, secondo Benedetto XVI, può raggiungere il suo punto più alto “solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione auto decretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza”.
Di indubbio valore culturale e teologico, il discorso di Ratisbona ha suscitato anche molte polemiche, soprattutto tra la popolazione islamica, riguardanti una frase citata dal Papa da un discorso che l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo ebbe con un saggio persiano. La frase incriminata: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”, era parte di un discorso più ampio, riguardo la necessità di convertire con la ragione e non con la violenza. “La fede – nel discorso del Pontefice – è frutto dell’anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia. Per convincere un’anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte.”
Ratzinger sottolinea come sia necessario instaurare un dialogo tra cultura e religioni, spesso relegate ad un ruolo di secondo piano nei paesi moderni: “Nel mondo occidentale domina largamente l’opinione, che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall’universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture”. Una lezione, quella di Benedetto XVI, che andrebbe rivista e ascoltata per fronteggiare al meglio anche le crisi umanitarie recenti.