Nell’epoca dei social, dove tutto diventa tecnologico, anche la corsa all’oro si evolve e, inesorabilmente, diventa 2.0. Se una volta si partiva alla volta del deserto armati di pala e piccone, o ci si metteva a setacciare i fondali dei fiumi con delle reti a maglie sottilissime, oggi questi strumenti sono stati soppiantati dai Big Data. Infatti, i giacimenti nascosti del più prezioso tra i metalli, così come quelli di altri minerali, possono essere scoperti più facilmente sfruttando gli stessi algoritmi impiegati per calcolare le connessioni su Facebook. Non solo: secondo uno studio coordinato dalla Carnegie Institution for Science di Whashington, i Big Data posso essere usati anche per prevedere la diffusione delle malattie o ricostruire le reti di terroristi.
Il sistema
Come riporta l’Ansa, il sistema si basa sull’analisi dell’enorme mole di dati che vengono continuamente raccolti in tutto il mondo su oltre 5.200 minerali noti. Scavando nei database ed estrapolando le informazioni utili, questi algoritmi permettono di ricostruire le condizioni necessarie per la formazione dei minerali, non solo dal punto di vista geologico, fisico e chimico, ma anche biologico, aiutando così a capire come si sono co-evolute la biosfera e la geosfera. “I Big Data sono una gran cosa”, commenta il coordinatore dello studio, Robert Hazen. “Ormai se ne sente parlare in ogni campo, dalla medicina al commercio: perfino l’Agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti li usa per analizzare le registrazioni telefoniche, ma fino a poco tempo fa nessuno aveva applicato i Big Data alla mineralogia e alla petrologia. Penso che accelereranno la scoperta di minerali in modi che ancora non possiamo neanche immaginare”.
Nuove frontiere
Un approccio del tutto innovativo, dunque, per geologi e scienziati, che grazie a questo nuovo sistema 2.0, hanno potuto stimare l’esistenza di almeno 1.500 minerali ancora sconosciuti, indicando, inoltre, i possibili giacimenti in cui trovarli. Grazie al nuovo studio americano, i ricercatori sono stati in grado di identificare ben 10 dei 145 minerali contenenti carbonio finora ignoti. Probabilmente, in futuro, questa stessa tecnica potrebbe essere impiegata anche in ambito spaziale, per capire meglio la composizione e l’evoluzione di altri pianeti.