Un appuntamento non con una rievocazione storica ma con la storia stessa. Non con una festa in costume ma con un passato che, attraverso questo evento, torna a vivere mostrando, con tutta la sua carica emotiva, un affresco unico al mondo dell’identità culturale di una città: il Palio di Siena, nelle sue due giornate estive (2 luglio, giorno della Madonna di Provenzano e 16 agosto, giorno successivo alla Festa dell’Assunta), non rappresenta unicamente una corsa di cavalli ma l’apice di un percorso annuale di vita comunitaria delle diverse realtà senesi che rispondono al nome di Contrade. E, nondimeno, un omaggio a quella che è storicamente considerata “regina e patrona di Siena”: la Madre di Dio. “L’evento corsa – ha spiegato a In Terris don Enrico Grassini, correttore (capo spirituale) della Contrada priora della Civetta e parroco della Collegiata di Santa Maria di Provenzano – non è che l’evento culmine di una serie di manifestazioni di natura religiosa in onore della Madonna… In passato, Siena aveva una sua dimensione ma non a livello di altre città: quindi, nel momento in cui si sviluppa come comunità cristiana, ritrova una nobilitazione nel culto della Vergine, sviluppando un’identità nazionale. Questo è importantissimo e determinate per capire il perché del Palio”. Altrettanto importante, è capire come l’evento senese “non è né una manifestazione religiosa né civile: esprime l’indole culturale della città e delle sue tradizioni, che sono sia religiose che laiche, di sacro e profano, secondo quella che è l’indole tipicamente medievale”.
La processione dei Ceri e dei Censi
Una commistione, quella fra civile e religioso, che emerge con forza nella tradizione del Palio di Siena: “In occasione del Palio dell’Assunta – ha spiegato ancora don Grassini – la Cattedrale diventa un luogo di identità civica, al pari e più del Palazzo pubblico. E questo emerge da un rito, testimoniato fin dagli albori del II millennio, che si rinnova il 14 agosto: la Processione dei Ceri e dei Censi. Una tradizione unica che oggi viene effettuata dai piccoli contradaioli che portano in omaggio alla Madonna fiori e candele ma che è il retaggio di quello che, fino alla caduta della Repubblica senese (metà XVI secolo), veniva effettuato come gesto di vassallaggio da tutte le comunità del territorio della Repubblica: alla vigilia dell’Assunta, vera e propria festa nazionale, esse venivano a Siena portando questi tributi (ceri e censi). Al termine del corteo, allora come oggi, il capo della comunità civica cittadina (oggi il sindaco) offre un cero alla Madonna, dipinto e istoriato con simboli civici e richiami alle Contrade”. Una festa nazionale quindi, in onore a quello che era considerato “il capo di Stato” della Repubblica e, per questo, omaggiato nei giorni di avvicinamento al Palio: “Il 15, giorno dell’Assunta, c’è la grande messa in Cattedrale presieduta dall’arcivescovo alla quale partecipano tutte le Contrade e che conclude l’aspetto civico della festa di mezz’agosto. Il Palio, diversamente da quello di luglio (corso proprio nel giorno della festa), è disputato il giorno dopo perché, in quanto festa nazionale, il 15 non solo era una giornata troppo piena di impegni e non c’era la possibilità di organizzare la corsa, ma soprattutto perché questa nasce come un intrattenimento che i nobili o qualche istituzione civica offriva come divertimento al popolo in occasione della festività”.
Rivivere la storia
Ovviamente, anche la giornata del 16 agosto possiede una sua connotazione religiosa, conferita dalla celebrazione, alle 7.45, della messa in Piazza del Campo. Ma questa è una tradizione recente, segno evidente di un Palio che, attraverso le epoche, è riuscito a cambiare se stesso senza perdere ciò che rappresenta per il popolo di Siena: “Ribadisce – spiega ancora il Correttore – con un linguaggio il più possibile attuale quella che è una tradizione di sempre, i valori dai quali nasce e attraverso i quali si esprime. L’attaccamento alla propria identità di una città che esprime la sua storia gloriosa, enorme rispetto alle sue dimensioni, non rievocando ma rivivendo il passato”. Un concetto fondamentale, che racchiude in sé l’essenza stessa della manifestazione: “Non si tratta di ‘rievocare’ ma di ‘rivivere’ attraverso una memoria storica e la dinamica antropologica del rito, che fa ritornare appunto quello che è stato per capire l’oggi e, se possibile, costruire il futuro. E questo avviene anche nelle celebrazioni religiose che non sono una cornice ma ‘la’ tradizione del Palio, che esprime appunto l’attaccamento a questi valori della città che culminano con la corsa, sintesi di un anno di vita, passioni, sofferenze, delusioni e speranze di ognuno dei 10 popoli dei rioni che concorrono alla corsa”.
Fierezza e bellezza
Nei giorni del Palio, un momento assolutamente straordinario per intensità e attaccamento alla propria identità contradaiola, si riscontra della benedizione del fantino e del cavallo, il commovente e conclusivo atto prima della corsa: “Si tratta di un rito unico, che avviene nell’oratorio della Contrada, prima che il popolo monturato esca a rendere omaggio alle istituzioni cittadine per poi entrare in Piazza del Campo per la passeggiata storica: l’atmosfera che si vive in questo momento è né più né meno quella del congedo delle armate che vanno a combattere la battaglia… Il testo liturgico della benedizione non fa riferimento solo alla vittoria ma soprattutto all’incolumità del fantino e del cavallo. Al termine, si leva il grido del Correttore all’animale: ‘Vai e torna vincitore’. E’, né più né meno, che il grido di battaglia”. Un incoraggiamento che rappresenta l’apice dell’appartenenza civica e culturale alla Contrada: “Smuove gli animi del popolo – sottolinea don Grassini -, tutti si abbracciano in un pianto liberatorio perché l’armata del popolo parte a combattere la guerra dei valori della bellezza, dell’eleganza e della fierezza che ogni Contrada desidera esprimere primeggiando sulle altre”. Valori che, alla fine, vanno a sommarsi, rappresentando “la fierezza della bellezza di questa città e delle sue tradizioni”.
Il ringraziamento
Vincere il Palio, non significa esclusivamente conquistare il drappellone e la supremazia, almeno per quei giorni, sulle altre Contrade ma concretizzare il momento di apogeo di una comunità e della sua vita nel corso dell’anno, non dimenticando di porgere il dovuto ringraziamento alla “regina e patrona” della città: “L’ultimo atto religioso, a sottolineare come tale aspetto non sia una cornice ma un’inclusione, è il ringraziamento della Contrada vincente: chi vince il Palio va a prendere il drappellone (che viene presentato alla Madonna il giorno prima della festa) sotto il palco dei Capitani, per poi condurlo verso la chiesa della Vergine in onore della quale si corre, scortato da tutte le altre Contrade che hanno corso in in segno di omaggio. All’interno della chiesa (la Cattedrale, in occasione del Palio dell’Assunta), viene cantato un inno medievale, una laude mariana chiamata “Maria mater gratiae”, inno tradizionale di ringraziamento alla Madonna, nuovamente cantato nell’oratorio della Contrada”.
Il Palio, una storia di vita vera
Nella millenaria tradizione senese, però, non emerge esclusivamente il rispetto e la devozione per la Madre di Dio, ma anche un’evidente appartenenza popolare che rende l’evento del Palio come una messa in mostra del vero volto della città: “Si sa benissimo – ha precisato il Correttore – che determinate manifestazioni sono state cristianizzate, gli è stato messo un abito diverso su una base preesistente. Si parla di senso religioso, di quel senso antropologico coincidente con il bisogno di contatto e di paura con il sacro. E che va ben al di là di quelle che sono talvolta le convinzioni religiose del singolo, il livello di fede o di appartenenza alla Chiesa cattolica. Alla fine, in chiesa a rendere omaggio alla Madonna ci si va tutti”. L’indole medievale che mescola la sacralità all’aspetto civico, “a Siena è sopravvissuta grazie a questa tradizione del Palio, a cui la città si è attaccata perché, essendo stata schiacciata dalla storia dei giganti che ha avuto intorno, avrebbe sicuramente perso questa ricchissima identità e indipendenza culturale. Guardare, vedere e capire, fare esperienza: questo si invita a fare anche chi viene da fuori a vedere il Palio, nient’altro che l’attenzione necessaria al momento in cui si è davanti a uno spaccato di vita vera, che esprime l’indole di mille anni di storia”. Quella che, due volte all’anno, si ha la possibilità di vedere a Siena “non è una rievocazione, quelli indossati non sono semplici costumi ma una seconda pelle”. E, ciò che si vede solo una volta giunto al suo culmine, “è forse la realtà, quella vera. Probabilmente – ha concluso don Grassini – sono costumi più gli abiti che mettiamo tutti i giorni. Questa è la realtà di una storia che rende viva una città in un contesto come quello attuale, nel quale sarebbe spazzata via dalla storia e dalla globalizzazione”.