Sono passati 435 anni da quando Matteo Ricci sbarcò a Macao, in Cina. Era l’agosto 1582. L’approdo del gesuita italiano fu l’incipit di una nuova ondata di evangelizzazione nel Paese asiatico. Accanto a uno slancio della fede, negli anni la Cina conobbe anche una delle più feroci e sistematiche persecuzioni della storia nonché una frattura in seno alla comunità cattolica.
Le sofferenze a motivo della propria fede sono ancora oggi, per i cattolici cinesi, una realtà quotidiana e fanno da sfondo agli intensi colloqui tra Pechino e Santa Sede per trovare un accordo sulle nomine dei vescovi. Il governo cinese ha creato una “Chiesa ufficiale” direttamente controllata dalle autorità: l’Associazione patriottica. Esiste poi una “Chiesa sotterranea”, riluttante a rinunciare al primato del Papa.
Delle annose questioni relative al cattolicesimo in Cina, se ne è parlato alla Pontificia Università Urbaniana nel corso del simposio di AsiaNews dal titolo “Cina: la Croce è rossa”. L’incontro si è svolto lo scorso 24 maggio, nella Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina, istituita da Benedetto XVI esattamente dieci anni fa con la Lettera ai cattolici cinesi.
Tra i relatori, mons. Savio Hon Tai Fai, segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. In Terris lo ha intervistato.
A dieci anni di distanza, qual è l’attualità della lettera di Benedetto XVI?
“Va detto che quella lettera non ha rappresentato un punto di partenza, bensì di arrivo. È il frutto di molti anni di impegno da parte della Santa Sede e dei pontefici. Ricordo che tentativi di disgelo con Pechino sono avvenuti già durante i pontificati di Giovanni XXIII e Paolo VI. Quest’ultimo venne ad Hong Kong nel 1970, mentre si trovava in visita nell’Estremo Oriente, nonostante fosse ferito a causa di un attentato subito qualche giorno prima all’aeroporto di Manila, nelle Filippine. Molti passi furono mossi durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II e l’eredità del lavoro fu raccolta da Benedetto XVI, che da cardinale fu stretto collaboratore di Wojtyla. È in questa prospettiva che si colloca la lettera scritta dieci anni fa e che rappresenta oggi un riferimento”.
E ora con Papa Francesco?
“Lui dimostra con atti concreti un atteggiamento di apertura ed anche di benevolenza nei confronti del popolo cinese”.
Un atto concreto è l’intensificarsi dei colloqui tra Santa Sede e Pechino per trovare un accordo sulla nomina dei vescovi. Qual è il suo parere al riguardo?
“Ho fiducia in Francesco, ma mi preoccupa molto quello che definisco un ‘grigio pragmatismo’ del Governo cinese. Si tratta di un fenomeno che è cresciuto insieme alla riforma economica della Cina e che continuerà a crescere quando sulla ‘nuova via della seta’ confluiranno molti soldi e commerci. È un principio utilitaristico basato sull’idea per cui ciò che funziona è vero. Esso rappresenta una minaccia per la nostra fede, rischia di contaminare anche la Chiesa. Per questo tornerei sull’attualità della lettera di Benedetto XVI, che offrì alcuni punti illuminanti per chiarire delle ambiguità”.
A cosa fa riferimento?
“Benedetto XVI rilevò che il ruolo significativo di organismi, che sono stati imposti come principali responsabili della vita della comunità cattolica, è inconciliabile con la dottrina della Chiesa, in quanto tali organismi (mons. Hon si riferisce all’Associazione patriottica, ndr) decidono di attuare i principi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa. Parole, quelle di Benedetto XVI, che vengono eclissate da questo ‘grigio pragmatismo’ anche dell’episcopato”.
Nel suo intervento ha parlato di un “livello di fedeltà molto preoccupante” da parte dell’episcopato alla “Chiesa ufficiale” e di celebrazioni Eucaristiche ridotte a “uno show politico”…
“Se dall’interno delle religioni nascono organismi contrari alla natura delle stesse religioni, e se manca la libertà religiosa vera, tali organismi imposti fanno più male che bene. Come dice Papa Francesco, un buon pastore di cui la Chiesa ha bisogno è quello che dona la vita per le sue pecore, senza lasciarsi distogliere dagli argomenti del mondo. Non possono essere accettati sacrilegi, la comunità ha il dovere di custodire e proteggere l’Eucarestia”.
Sullo sfondo dei colloqui istituzionali c’è poi la situazione concreta dei cattolici cinesi, in un contesto difficile per loro…
“La repressione dei cattolici negli anni è cambiata, ma purtroppo non è diminuita. Sono aumentati i metodi con cui le autorità esercitano pressione. Dalla Cina giungono testimonianze di un controllo molto rigido a cui sono sottoposte le attività religiose: militari pattugliano le chiese prima delle celebrazioni e telecamere sono installate all’ingresso di ogni edificio sacro e probabilmente anche all’interno. A ciò si aggiunge che costantemente il Governo cinese manda personale ufficiale per interrogare vescovi e sacerdoti, imponendo talvolta il domicilio coatto. Queste pressioni tormentano la coscienza dell’episcopato, perché la sfera spirituale viene occupata dalle autorità politiche secolari nel tentativo di violare la natura della fede nella Chiesa”.
Può confermare i tentativi da parte del Governo cinese di impedire la devozione alla Madonna di Fatima per via del messaggio mariano ritenuto contro l’ideologia comunista?
“Sì, è un avversione che esiste da tanti anni. Ogni Governo locale la applica a livello diverso. Ricordo che negli anni novanta, quando insegnavo a Shenzhen, esisteva una proibizione esplicita a venerare la Madonna di Fatima, a possedere statue o altri oggetti sacri che la ritraessero”.
Nonostante tutto, tra i fedeli, c’è fiducia nei colloqui?
“Già quando ero professore in Cina ebbi modo di respirare un clima di grande aspettativa e di fiducia da parte dei cattolici cinesi. Questo clima positivo accomuna sia le comunità della ‘Chiesa ufficiale’ sia quelle della ‘Chiesa sotterranea’. E vorrei sottolineare che tutti i cattolici cinesi, a prescindere dalla loro comunità, sono fedeli al Santo Padre e alla Chiesa”.
Come è vissuta dal popolo questa frattura tra “Chiesa ufficiale” e “Chiesa sotterranea”?
“È una divisione che i fedeli vivono loro malgrado. La causa va ricercata naturalmente altrove, ma sono loro a subirla. Purtroppo è motivo di grande rammarico e di episodi eloquenti. Ricordo che ancora negli anni ottanta e nei primi anni novanta esisteva tra le due comunità una forte opposizione, che sfociava in violenza. Oggi la situazione è molto migliorata, grazie soprattutto all’impegno profuso da Giovanni Paolo II. C’è una comprensione reciproca, che si manifesta all’estero, anche qui in Italia, dove convivono amabilmente giovani seminaristi e suore provenienti dalle due comunità”.
Ha parlato di prelati condizionati dal “grigio pragmatismo”. Esistono però anche molti eroi della fede in Cina. Quanto è importante il loro esempio?
“Moltissimo. Penso ai missionari del Pime (Pontificio istituto missioni estere, ndr): hanno versato sangue e sudore per rendere fertile la terra in cui si diffondono i semi del Vangelo. Nei periodi difficili ci sono sempre stati grandi esempi di testimonianza, qualche volta fino al martirio di sangue”.
Ritiene possibile un viaggio di Papa Francesco in Cina?
“Non lo escluderei. Considerando però tutti i problemi attuali, mi pongo la domanda: sarebbe davvero utile alle comunità cattoliche cinesi?”