Ogni qualvolta si rinfocola il dibattito sullāeutanasia prendendo spunto da un dramma personale, cāĆØ un rischio che si corre. Ć quello di veicolare presso lāopinione pubblica lāidea per cui una vita in condizioni altamente debilitanti, non sia degna di essere vissuta. CāĆØ il rischio, per parafrasare Papa Francesco, che venga incentivata quella ācultura dello scartoā che espelle i disabili da un meccanismo che deve essere efficiente a tutti i costi. Esistono perĆ² esperienze in cui a trionfare ĆØ piuttosto una cultura della vita, malgrado le difficoltĆ . Ne ĆØ interprete Marco Pedde, 48enne padre di famiglia, nuorese, che da sette anni ĆØ costretto su un letto a causa della sclerosi laterale amiotrofica, la famigerata Sla. Ha bisogno di un ventilatore per respirare. Ma bastano il suo cuore e i suoi occhi profondi per provare e dimostrare lāamore e lāaffetto che prova per la sua famiglia e per i suoi amici. Definisce la malattia un ābagaglio pesanteā con il quale ĆØ costretto a viaggiare dal 2010. Ma ci sono altri bagagli, che anzichĆ© pesare alleggeriscono lāanima, con cui Marco viaggia ogni giorno. Sono le sue passioni, come lo sport e la scrittura.
Da qualche giorno ha modo di nutrire questāultima curando una rubrica, una sorta di diario personale per AgenSir, organo dāinformazione della Conferenza episcopale italiana, dal nome āScrivere con gli occhiā. Ed ĆØ proprio āscrivendo con gli occhiā che Marco ha rilasciato lāintervista che segue ad InTerris. Nei giorni in cui i media italiani danno ampio risalto alla vicenda di Fabiano Antoniani, meglio conosciuto come Dj Fabo, il ragazzo italiano cieco e tetraplegico a causa di un incidente, andato in Svizzera per morire con il suicidio assistito, Marco Pedde racconta la sua filosofia di ācelebrare la vitaā.
Quali sono stati i primi segnali della malattia?
“Le prime avvisaglie le ho avuto un anno prima della diagnosi. La mia mano destra poco a poco perdeva la sua forza. Inizialmente non feci caso, ma col passare del tempo la muscolatura subiva una piccola metamorfosi. Gli impegni quotidiani non mi permettevano di focalizzare l’attenzione su ciĆ² che stava accadendo. Ero distratto da altre cose, ma contestualmente dentro il mio corpo qualcosa cambiava. Lentamente, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, le mie forze muscolari diminuivano, inizialmente con l’arto superiore destro per poi arrivare a quello sinistro. A quel punto dovevo capire cosa mi stava succedendo e dopo diverse visite specialistiche e un ricovero in ospedale, ecco che arriva la grande sorpresa”.
Come ha reagito a quella che definisce āla grande sorpresaā, alla diagnosi della malattia?
“Era il febbraio 2010, la diagnosi avvenne durante un ricovero di circa una settimana. Ricordo benissimo il giorno in cui l’equipe medica, presentandosi davanti al mio letto, mi diagnosticĆ² la malattia del primo e secondo motoneurone. Detta in questo modo, la notizia non sembra cosƬ drammatica, ma quando scopri che si tratta della Sla allora tutto cambia. Rimasi, per qualche minuto, interdetto, disteso su quel letto. Il mio primo pensiero andĆ² aĀ mio figlio, poichĆ© lui viene prima di tutto. All’epoca aveva poco piĆ¹ di 5 anni. Nonostante la sua giovanissima etĆ pensai a come avrebbe reagito a tale notizia; a come sarebbe stata la vita da quel momento in poi. Devo dire che c’ĆØ stato un faticoso lavoro psicologico, affinchĆ© lui affrontasse con piĆ¹ serenitĆ la nuova situazione che si stava delineando. Oggi posso dire che io e la sua mamma siamo riusciti nell’intento”.
Ma la malattia ha influito in qualche modo nel rapporto con i suoi cari, specie con suo figlio?
“Nulla ĆØ cambiato nelle mie relazioni sia familiari che di amicizia. Vede, la mia famiglia ĆØ molto numerosa e, nonostante le diverse opinioni e visioni del mondo, si compatta di fronte alle piĆ¹ estreme difficoltĆ . Nel corso di questi anni credo che mi figlio abbia metabolizzato la situazione in cui si ĆØ venuto a trovare suo malgrado. Lui per me ĆØ la cosa piĆ¹ importante. Il suo benessere viene prima di tutto e di tutti. Ogni mia azione ĆØ finalizzata a questo. Pur con le mie difficoltĆ di movimento cerco di mostrare tutto l’affetto possibile. Ć vero, fisicamente non posso abbracciarlo, non posso dargli quelle carezze che un genitore ama fare, ma ĆØ sufficiente un sorriso, uno sguardo dolce per dimostrargli quanto lo amo. Un amore profondo, sano e incondizionato”.
Come valuta lāinformazione che si fa in Italia riguardo alla Sla?
“In questi ultimi anni i casi di persone affette da questa patologia sono, purtroppo, in aumento. L’associazione AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), di cui faccio parte, da anni sta intensificando il lavoro di informazione su tutto il territorio nazionale. Per quanto riguarda la realtĆ sarda, c’ĆØ una discreta sinergia tra le istituzioni, politiche e sanitarie, e le famiglie che vivono quotidianamente questa problematica. Esiste un progetto chiamato āRitornare a casaā, il cui fine ĆØ quello di favorire la permanenza nella propria abitazione di persone in situazioni di grave non autosufficienza, come la Sla. La Sardegna ĆØ l’unica Regione in Italia ad avere istituito questa forma di assistenza. Vi assicuro che vivere la propria disabilitĆ all’interno del proprio nucleo familiare, rende piĆ¹ serena l’esistenza”.
Nella sua neonata rubrica sullāAgenSir – āScrivere con gli occhiā – lei ha testimoniato che āla vita ĆØ bella e acquista un senso anche nella malattiaā. In che modo, attraverso quali canali la felicitĆ trova spazio nella sua vita?
“Quando decisi di accettare la tracheotomia lo feci con la consapevolezza che sarebbe stata una vita un po’ particolare. Trascorrere due mesi in terapia intensiva non ĆØ per niente piacevole, il mio unico desiderio era quello di rivedere mio figlio. Quando ritornai a casa fu una grande festa. Immaginate la mia emozione nel vedere tutta la famiglia sul pianerottolo di casa a ricevermi. La cosa che piĆ¹ mi ha commosso ĆØ stato l’abbraccio di mio figlio. Entrambi siamo scoppiati a piangere. Essere felici non ĆØ complicato. Tutto dipende da cosa ci aspettiamo dalla vita. PiĆ¹ alte sono le aspettative, piĆ¹ ĆØ difficile raggiungere la felicitĆ . Per me ricevere quotidianamente da mio figlio un bacio, un abbraccio, essere partecipe delle sue attivitĆ quotidiane, siano esse scolastiche o sportive, mi rende entusiasta. A questo aggiungiamo il mio carattere socievole e allegro, et voilĆ , tutto ha un senso”.
Che idea si ĆØ fatto delle polemiche e delle strumentalizzazioni politiche che ha suscitato la tragica fine di Dj Fabo?
“Questo episodio ha sicuramente smosso le coscienze di ognuno di noi. Era inevitabile che avrebbe procurato un acceso dibattito nella societĆ civile. Per quanto mi riguarda considerare una tragedia l’episodio di Dj Fabo ĆØ un po’ azzardato. Per me la tragedia ĆØ ciĆ² che sta accadendo in Siria e in tante altre parti del mondo, dove la morte arriva improvvisamente contro la propria volontĆ . Ć un tema molto delicato. Il confine tra strumentalizzare un evento per chissĆ quali interessi di parte e il portare avanti una seria battaglia, che puĆ² essere o meno condivisa, ĆØ molto labile”.
Ha seguito il dibattito sul testamento biologico attualmente allāesame del Parlamento?
“Come sempre in Italia ci si muove a fatto compiuto, in tutte le cose. Credo che si pecchi di una visione lungimirante, anche su questioni come il testamento biologico. Ogni qualvolta si presenta il caso specifico, puntualmente si riapre un’accesa discussione e allo stesso tempo si rimanda alla stagione successiva. Viviamo in una societĆ nella quale il pensiero ĆØ in continua evoluzione. Lo Stato, attraverso il suo organo legislativo, rappresentativo del popolo, ha il dovere, se non l’obbligo, di recepire e regolare le istanze che provengono dalla societĆ , soprattutto quando queste sono improcrastinabili. Ć da anni che si parla del testamento biologico come forma di espressione anticipata della volontĆ di decidere della propria vita, qualora si verificasse la condizione per la quale una persona non sia in grado di manifestare lucidamente le proprie intenzioni, ma ad oggi non vi ĆØ stata nessuna risposta. Ognuno di noi ĆØ artefice del proprio destino. Spero vivamente che si arrivi ad una efficace soluzione”.
CāĆØ lāimpressione che faccia piĆ¹ notizia un malato che chiede di morire piuttosto di uno che afferma che la vita ĆØ bella a prescindere dalla malattia. Ć dāaccordo?
“Decidere di morire richiede una complessa e soggettiva introspezione. Non ĆØ per niente facile assumersi tale responsabilitĆ , soprattutto per chi si trova in determinate condizioni di salute. Questo tipo di decisione rappresenta un gesto estremo, e come tale cattura l’attenzione dei media, perchĆ© morire ĆØ diventata una cosa straordinaria, mentre vivere ĆØ la normalitĆ . Io ribalto questa concezione. PerĆ² ogni disabilitĆ ha le sue peculiaritĆ che condizionano la propria vita e quella dei cari che ti stanno accanto. Io ho un grande rispetto per chi esercita lucidamente la propria volontĆ , anche nel prendere decisioni cosƬ estreme. Per quanto mi riguarda, la mia filosofia ĆØ celebrare la vita”.