L’UOMO CHE RACCONTA SUI CACTUS

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“Ogni capacità di agire o di produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche, quindi anche l’insieme delle regole e dei procedimenti per svolgere un’attività umana in vista di determinati risultati”. È la definizione di “arte” secondo il vocabolario Treccani. Una spiegazione sostanzialmente fredda, se si pensa alle innumerevoli emozioni che s’innescano nell’essere umano quando contempla un quadro o una scultura. Al contrario, essa, come sostiene Tolstoj, è quella che “contagia”, che è capace di suscitare nell’uomo quel sentimento di gioia nella comunione spirituale con l’artista e con gli altri che contemplano la stessa opera.

In questo modo può stimolare la convivenza pacifica tra gli uomini mediante la loro libera e gioiosa attività e può dunque contribuire a sopprimere la violenza, facendo in modo che i sentimenti di fratellanza e amore per il prossimo diventino abituali in tutti. È sostanzialmente questo il fil rouge che collega le opere di Ahmad Yaseen, un artista palestinese che ogni giorno posta sulla propria pagina Facebook le proprie opere. Sono dipinti diversi da quelli che si trovano nelle estemporanee, nelle chiese o nei palazzi signorili delle epoche trascorse. Le sue tele sono le piante di fico d’India. È questo che gli permette di contraddistinguersi.

Gli alberi di fico d’India crescono spontaneamente a Asira ash-Shamaliya, un piccolo villaggio arroccato fra le montagne nei pressi di Nablus, in Cisgiordania, dove risiede. La pianta è il simbolo della natura selvaggia. Cresce ovunque e si adatta a tutte le condizioni atmosferiche. Nel linguaggio vegetale ha un duplice significato: “ardo per te” e “circospezione”. Osservando l’arbusto è facile intuirne il perché: la presenza delle spine suggerisce la massima prudenza nel cogliere i frutti. Se non si fa attenzione si rischia di provare sulla pelle la bruciante puntura di quegli aghi. Tenace e forte, è un vegetale difficile da sradicare. “È senza dubbio lo strumento migliore per raccontare le vicende palestinesi”, ha precisato Ahmad. Attraverso le sue opere, infatti, vuole trasmettere gli orrori e la sofferenza che la sua gente ha subito.

I colleghi della facoltà di arte dell’università hanno descritto il giovane come un “genio” che impressiona non solo per le sue grandi doti da pittore, ma anche per il suo modo di esprimere la sofferenza del popolo palestinese. Non mira a dipingere martiri, tanto meno le scene di guerriglia fra israeliani e palestinesi. “Vorrei ritrarre elementi che forniscono anche un barlume di speranza e non solo di disperazione – ha precisato Ahmad – Un artista deve avere una vista a volo d’uccello, ampia e chiara. Ed è quello che io faccio”.

Significativa, al riguardo, la pianta sulla quale ha ritratto due neonati. Uno dorme sogni tranquilli cullato dalle mani di un adulto, mentre l’altro viene allattato dalla madre. Due scene che simboleggiano la forza della vita umana che nasce e cresce. Altra immagine che cattura l’attenzione è il ritratto di un’anziana donna che stringe al petto una chiave, simbolo del ritorno, mentre socchiude gli occhi. Se osservata da una certa prospettiva, i rami del fico che incorniciano il viso della vecchia sembrano essere una kefiah. La fronte, solcata da profonde rughe, ricorda le difficoltà della vita. La chiave rimanda al futuro. “Rappresenta la speranza”, ha detto Ahmad riguardo a questo oggetto, molto ricorrente nelle sue creazioni. Facilmente intuibile, anche in questo caso, il parallelismo tra le sue rappresentazioni e le vicende storiche che hanno scosso il popolo palestinese.

Ogni opera può richiede ore, talvolta anche giorni, di lavoro per essere completata. Il giovane artista, per assicurarsi le materie prime su cui dipingere, ha iniziato a piantare dei fichi d’india nei pressi della sua abitazione. “I palestinesi non sanno cosa vuol dire vivere tranquillamente”, ha detto Ahmad. Così come i rami forti e vigorosi del fico d’India sono in grado di trattenere i colori acrilici, allo stesso modo “noi palestinesi siamo in grado di sopportare le innumerevoli difficoltà”. In fin dei conti l’obiettivo dell’arte è proprio questo: scuotere le coscienze fino a ricondurci all’integrità della nostra persona.

Fabio Beretta: