Un portafogli in terra, colmo di contante, carte di credito e nessun proprietario. Cosa fare? Ovviamente restituirlo. Non ci ha pensato due volte Abdul, un giovane commerciante nativo del Marocco, che risiede e lavora a Lecce, con il suo banco ambulante. Quarantatré chilometri in auto, a sue spese, per raggiungere il proprietario, residente nella città di Tuglie, e riportare quanto era stato smarrito nei pressi della sua bancarella: un gesto di gentilezza e onestà, che ha provocato comunque molto clamore.
Tutto è accaduto così velocemente che lo stesso protagonista, in un’intervista concessa a Repubblica, si è definito stupito dello scalpore suscitato dalla vicenda, sostenendo di aver semplicemente fatto il proprio dovere e di non essere un eroe. Non l’ha pensata così Carlo Merenda, proprietario di diverse aziende e possessore del portafogli smarrito. Non poca la sorpresa, quando ha visto che l’autore del gesto (e del viaggio) era un venditore ambulante. Dopo averlo calorosamente ringraziato e ricompensato, l’imprenditore salentino si è impegnato ad aiutarlo nella ricerca di un lavoro migliore: “Mi sono profondamente vergognato – ha in seguito postato su Facebook – se in qualche momento ho avuto un pregiudizio, se ho giudicato o pensato male, e se ho lontanamente pensato che l’onestà potesse avere le sfumature di un colore. Il colore della pelle”.
Una storia, quella di Abdul, non diversa da quella di molti immigrati come lui. Come ha raccontato, nel corso della stessa intervista, dopo il suo arrivo in Italia si è prodigato in diversi lavori, dall’operaio in una masseria al giardiniere, fino al cameriere. Un breve ritorno in Marocco, poi di nuovo in Italia, stavolta come ambulante. Ma, ovviamente, non è questo che Abdul vuole fare: “Quando lavoravo ho messo qualcosa da parte, sono uno che impara in fretta. Certo non starò senza far nulla, perché i 300 euro di affitto devo pagarli e l’ambulante non voglio farlo a vita: si guadagna poco, è un lavoro irregolare, spesso i vigili ci mandano via, una volta mi hanno persino fatto una multa”.
Non vuole sentirsi chiamare eroe perché, come ha ribadito, ha semplicemente fatto ciò che era giusto. Una lezione di vita, spesso, risiede anche in un gesto di onestà come questo, e va ben oltre le differenze etniche o di estrazione sociale. Un luogo comune, forse, ma, in tempi come questi, vale sempre la pena di ricordarlo.