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L’OCCHIO VIGILE DELLA POLIZIA SUL WEB

Sempre più facile dal proprio smartphone scattare una foto e modificarla, inviare un video osceno, usare una bacheca virtuale con parolacce, insulti e prese in giro come una volta si faceva sulle mura con le bombolette, specie se adolescenti. I social più gettonati per questa “moda” denigratoria sono Facebook, Instagram, Youtube, Snapchat. Ma attenzione, la Polizia non va in vacanza e dopo l’approvazione della nuova legge sul cyberbullismo, di cui sono vittima 2 ragazzi su 3 specie tra gli 11 e i 13 anni, ha gli occhi vigili sulla rete e soprattutto sui navigatori più piccoli. Con la nuova legge n.71 in vigore da giugno, la prima in Europa, il governo ha voluto così prevenire e contrastare “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria… realizzata per via telematica” con lo scopo di “isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso o la loro messa in ridicolo”. La Polizia postale e delle comunicazioni è dunque corsa al riparo. «Nata nel 1981 per tutelare la segretezza e la riservatezza della cara vecchia lettera oggi invece lavora online» spiega Maria Cristina Fagone, Vice Questore Aggiunto della Polizia di Stato del Compartimento di Bologna, intervenuta di recente ad un convegno per insegnanti, avvocati, giornalisti ed esperti delle “moderne” forme di bullismo.

Monitoraggio continuo

L’occhio attento delle forze di polizia quindi scruta siti e social e ne prevede il blocco o l’oscuramento di pagine e profili quando diffondono messaggi, immagini, video che offendono o denigrano altri, specie se si tratta di minori. Poiché si è sempre interconnessi, anche la Polizia si è messa al passo con le nuove forme di reato legate al mondo digitale. S’imbatte quindi facilmente in casi ormai sempre più frequenti di cyberbullismo in cui il bullo diffonde quel che vuole a chiunque e ad ogni click (con danni illimitati rispetto agli atti di bullismo classico che invece avvenivano faccia a faccia, potevano essere limitati e soprattutto se ne conosceva l’autore). “Il nostro compito oggi è indagare e reprimere i cosiddetti cybercrime – chiarisce la Polizia – Quando si è in rete si è registrati si è loggati perché il nostro provider ci assegna un codice IP alfanumerico che solo noi usiamo in quel momento e in quel giorno. Quindi attraverso questo codice che è collegato ad un numero cellulare o di rete fissa, la Polizia può risalire al responsabile e sapere dove trovarlo. Gli adolescenti oggi sono sempre connessi quindi devono sapere che sono responsabili dei comportamenti online e che dai 14 anni di età ne rispondono direttamente”.

Come si interviene

In sintesi non si scappa! La Polizia interviene soprattutto quando ci sono segnalazioni o denunce ma ha bisogno di documentazione sull’offesa o minaccia ricevuta attraverso la stampa di messaggi e immagini, l’indicazione di qual è il profilo facebook che ha attaccato la vittima con foto, pagine web. “Possiamo sempre verificare l’url per poi procedere con le indagini. A volte ci troviamo in difficoltà quando si tratta di piattaforme all’estero. Per esempio negli Stati Uniti non è previsto questo reato dunque servono testimoni davanti al giudice. Ciò che conta è che i ragazzi capiscano che in rete a volte abbiamo a che fare con persone che trovano sfogo dietro ad uno schermo. Ci sono blog fatti appositamente per denigrare qualcuno. Possiamo notificare ai provider tramite Procura della Repubblica decreti di blocco e oscuramento”. E il Questore può arrivare all’ammonimento del responsabile dell’offesa.

Sensibilizzazione

La Polizia ha dunque lanciato campagne di sensibilizzazione rivolte ai giovani per una educazione alla legalità tramite la rete. In Emilia-Romagna inoltre lo scorso anno è stato istituito un protocollo con l’Ufficio regionale scolastico, l’Università, la Regione, la Siae con lo scopo di formare i docenti e non solo sensibilizzare i giovani per raggiungere quanti più studenti possibile. “Abbiamo in sostanza anticipato quanto la nuova normativa oggi prevede. Ovvero che tutti si uniscano per dare ai giovani gli strumenti necessari a far fronte ai rischi della vita su internet perché solo insieme riusciremo a tutelare i nostri giovani. Agli studenti nelle scuole spieghiamo due parole chiave: conoscenza e educazione. Conoscere i fenomeni per sapere che i comportamenti in rete hanno delle conseguenze sulla vita reale. Tante volte i più giovani pensano che i comportamenti trasgressivi siccome sono virtuali sono solo delle bravate”. In realtà dietro comportamenti virtuali si nascondono conseguenze sulla vita reale che possono essere veri e propri reati. Educare poi vuol dire prima di tutto rispetto per gli altri anche in rete, perché dietro lo schermo c’è comunque una persona. “I primi nemici della nostra sicurezza infatti siamo noi perché non ci tuteliamo nella nostra privacy, nei dati personali, nell’account. Altra regola fondamentale – avvertono gli esperti della Polizia postale – essere i primi poliziotti di noi stessi. Occorre una diffidenza verso ciò che si nasconde dietro a internet. Se è troppo bello per essere vero, non può essere vero. Chiediamo agli adolescenti che incontriamo nelle classi: qualcuno di voi lascerebbe una foto nella piazza della propria città? Non lo farebbero mai. Oppure: vivreste in una casa fatta di vetro in cui tutti possono vedere cosa fate dentro? Mai. Allora perché regalate tutti i dati e le immagini personali a sconosciuti?”.

I rischi

Condividere tutto crea dei rischi. Praticamente in rete pubblichiamo noi stessi, la nostra web reputation e spesso condividiamo anche quella altrui senza mai chiederne il consenso. Ognuno può certamente scattare foto, raccogliere pensieri, avere idee e opinioni contrastanti ma il problema è come usiamo e diffondiamo immagini e pensieri. Ancora più allarmante è la diffusione di immagini intime, di messaggi e video sessualmente espliciti sempre più frequenti, il cosiddetto fenomeno del sexting. Le conseguenze possono essere disastrose per i protagonisti specie se molto giovani e i casi di suicidio di questo anno dovrebbero risvegliare le coscienze negli adulti. E far comprendere anche alle vittime che non sono soli, che non bisogna avere paura di segnalare i propri disagi agli adulti di riferimento genitori e insegnanti soprattutto. Oggi infatti il minore stesso può chiedere l’oscuramento dell’atto prevaricatorio online.

Per sempre in rete

La rete non dimentica: con un semplice download fatto da chissà chi, quell’offesa o quella immagine denigratoria, che per noi era cancellata, può fare il giro del pianeta. La nuova normativa infatti non può correggere la caratteristica della rete. Ciò che ognuno regala alla rete rimane della rete per sempre. E non si può garantire che sarà cancellato. Col cyberbullismo è evidente che nell’uso di internet tanti giovani non hanno più il senso del proibito. E il fatto di non vedere la vittima li rende più aggressivi. Per questo Il Vicequestore della Polizia postale di Bologna Maria Cristina Fagone ha lanciato un consiglio che va diffuso nel mondo giovanile, sia d’estate che durante l’anno scolastico nei progetti di prevenzione nelle classi: “Esiste un antivirus che vi può consentire di essere indenni da tutte le insidie, è gratuito e potete consigliarlo a chiunque: si chiama cervello!“. Bisogna però allenarsi ad usarlo anche quando si è in vacanza.

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