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L’INDUSTRIA DELLE ARMI: IL ‘MADE IN ITALY’ CHE NON CONOSCE CRISI

I fabbricatori e trafficanti di armi sono stati definiti da Papa Francesco, in un’Udienza generale del giugno 2014, “mercanti di morte”, cinicamente necessari all’economia. Nel novembre 2015, infatti, in un’omelia a Santa Marta rincarò: “Facciamo armi, così l’economia si bilancia un po’, e andiamo avanti con il nostro interesse”.

La relazione al Parlamento

Le riflessioni del Pontefice tornano alla mente leggendo la Relazione annuale al Parlamento sull’applicazione della Legge 185 del 1990, che norma l’esportazione e l’importazione di armi. Se ne deduce che il settore delle armi in Italia non conosca crisi. Anzi, registra una crescita importante, che nel 2016 è stata dell’85,7%: se nel 2015 erano state vendute all’estero armi per 7,9 miliardi di euro, l’anno successivo il totale ha raggiunto i 14,6 miliardi.

La metà del valore delle esportazioni del 2016 proviene dalla vendita al Kuwait di ventotto Aerei Eurofighter (7,3 miliardi di euro); subito a seguire “bombe, siluri razzi, missili e accessori” a vari committenti, la cui esportazione ha fruttato 1,2 miliardi. La Relazione annuale in materia di armamenti sottolinea inoltre che nel corso del 2016 l’Italia ha esportato in ottantadue Paesi in totale, confermandosi uno dei principali attori mondiali per penetrazione del mercato.

2016: record storico di esportazioni

Sono due i dati emersi da questa Relazione su cui In Terris intende far luce in un’intervista a Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (Opal) di Brescia. Il primo è che nel 2016 si è registrato “un record storico di esportazioni dal secondo dopoguerra”, il secondo è che “circa il 60 per cento delle commesse riguarda Paesi del Medio Oriente”.

La vendita a regimi autoritari

Quest’ultimo aspetto – secondo Beretta – è “il più preoccupante”. Egli sottolinea che “se fino a sei anni fa la metà degli armamenti venivano venduti a Paesi alleati – con garanzie di diritti umani – oggi gran parte delle armi vengono esportate in Paesi al di fuori della Nato e dell’Unione Europea”. Il suo sguardo si rivolge in particolare verso il Golfo persico. Vendere armi in questi Paesi significa fornire ai loro Governi definiti “autoritari” – aggiunge – “gli strumenti per reprimere la popolazione o scatenare guerre”.

Beretta rammenta che la legge 185/90 stabilisce che l’esportazione e i trasferimenti di materiale di armamento “devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia”. Pertanto – aggiunge – “autorizzare l’esportazione di sistemi militari a Paesi al di fuori delle principali alleanze politiche e militari dell’Italia – cioè, appunto, a Paesi non appartenenti all’Ue o alla Nato – è un fatto che richiederebbe qualche spiegazione da parte del Governo”.

L’Italia, lo Yemen, l’Arabia Saudita

L’analista punta l’indice contro la maggior parte dei media di massa, che secondo lui non informano a sufficienza la popolazione sull’export di armi del nostro Paese. “Quanti italiani sanno che il Governo sta inviando aiuti per dieci milioni di euro allo Yemen, la cui popolazione è colpita anche dalle armi italiane? – si chiede Beretta – Lo stesso Governo ha infatti autorizzato la vendita di 411milioni di bombe all’Arabia Saudita che bombarda lo Yemen”. Il rappresentante dell’Opal ritiene che gli italiani non sarebbero felici di sapere che il proprio Governo “con una mano dà un po’ d’aiuti, con l’altra un consistente carico di bombe”.

Atteggiamento bifronte che l’Italia non ha smesso di avere, secondo Beretta, “nemmeno dopo che uno specifico rapporto trasmesso al Consiglio di sicurezza dell’Onu non solo ha dimostrato l’utilizzo di bombe italiane sulle aree civili in Yemen, ma ha affermato che questi bombardamenti ‘possono costituire crimini di guerra’”.

Richiesta di trasparenza

Ma quali sono le misure che la rete di organizzazioni per il disarmo chiede urgentemente per arginare questo mercato? “Chiediamo innanzitutto trasparenza”, risponde Beretta, il quale lamenta che la Relazione annuale da tre-quattro anni omette alcune informazioni come, ad esempio, i Paesi destinatari delle autorizzazioni rilasciate alle aziende. “Nonostante l’avvento dei computer e dell’era digitale, le recenti Relazioni risultano del tutto deficitarie sulle informazioni fondamentali che riguardano le esportazioni di sistemi militari – dice Beretta -. Questa mancanza di trasparenza rende impossibile un effettivo controllo delle operazioni autorizzate dal Governo anche da parte del Parlamento”.

Inoltre Beretta invoca un rispetto rigoroso delle norme che regolamentano la vendita di armi: la legge 185/90, i trattati internazionali sul commercio di armi, nonché la risoluzione del Parlamento europeo del febbraio 2016 volta “ad avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’Ue di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita”.

Un’altra risoluzione del Parlamento europeo, del giugno scorso, chiede la creazione di un organismo internazionale indipendente per verificare “l’accertamento delle responsabilità per le violazioni commesse” in Yemen. Beretta denuncia che la comunità internazionale ha finora ignorato questo sollecito dell’Onu. E invita l’Italia, essendo membro del consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a proporre un accertamento delle violazioni da parte dell’Arabia Saudita. Sarebbe un segnale importante, a testimoniare che il cinismo degli affari non prevale sull’attenzione al rispetto dei diritti umani.

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