“La vera democrazia non può esistere senza la libertà di stampa. Senza questo tipo di libertà non può esserci controllo sulla politica, trasparenza, lotta alla corruzione, buon governo e libertà di scelta. Per questa ragione, l’Unione Europea è il più forte difensore di questo fondamentale diritto in tutto il mondo”. Le parole del Presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, pronunciate alla vigilia della Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, che si celebra oggi, 3 maggio 2017, ci spingono ad intraprendere un’analisi più profonda sul modo di informare dei Media, nuovi e tradizionali, che va oltre il report annuale di Reporters sans Frontieres, pubblicato nei giorni scorsi, con conseguente polverone di polemiche.
La Giornata Mondiale della Libertà di Stampa
Stabilita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di difendere e diffondere l’articolo 19 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa di quest’anno ha come tema: “Menti critiche per tempi critici: il ruolo dei Media, nell’avanzamento verso una Società migliore, pacifica, giusta e inclusiva”. Un titolone curioso, che porta, a sua volta, a riflettere sui nostri tempi, definiti “critici”. E i dati a nostra disposizione sulla libertà di stampa, in effetti, disegnano un quadro preoccupante: oggi, come mai prima, questo “diritto” è fortemente minacciato. Non mancano episodi, anche recenti, di corrispondenti che denunciano il modo brutale in cui i giornalisti vengono intimiditi, non solo in Paesi dove regna la dittatura, ma anche in nazioni che vengono considerati democratici.
Una libertà “pagata col sangue”
“Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”. E’ quanto recita l’articolo 19 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. In Italia, queste libertà sono garantite dall’articolo 21 della Costituzione, che, al comma 1, dispone: “Tutti hanno il diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Ad oggi, pensiamo di godere appieno di questa libertà, ma ci sono voluti secoli di lotte e rivoluzioni per arrivare ad affermala. Basta pensare che già a partire dal 1500, a seguito dell’invenzione di Gutenberg, si può già parlare di limitazione alla libertà di stampa (una bolla papale di Alessandro VI introdusse la censura preventiva, ossia il divieto di stampare senza l’opportuna autorizzazione delle autorità). Provvedimenti simili vennero presi, quasi in contemporanea, anche in altri stati europei, dall’Inghilterra (per volere di Enrico VIII nel 1531) alla Francia.
Effettivamente, durante l’epoca degli assolutismi, la libertà di stampa nel Vecchio Continente era quasi del tutto sconosciuta. Bisognerà aspettare la Rivoluzione francese, per contemplare il diritto di stampa: esso fu riconosciuto dall’articolo 11 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 per la prima volta. Ma le battaglie per l’affermazione di una piena libertà di stampa continuarono per tutto il XIX secolo. Nel frattempo, il numero di testate cresceva esponenzialmente. I lettori, sfogliando le pagine dei giornali, potevano leggere argomenti di ogni genere, dalla cronaca alla letteratura (sono tanti gli esempi di scrittori di fama mondiale che pubblicavano “a puntate” i loro romanzi). Un percorso di crescita bloccatosi con l’avvento dei regimi totalitari del XX secolo, che si distinsero proprio per la censura e il modo smisurato di “fare propaganda” esercitando sulla stampa il loro potere. Cadute le dittature europee, il diritto alla libera espressione è tornato a crescere, spinto dalla voglia di tornare a vivere “liberi”, fino ad essere, oggi, garantito da numerose leggi.
Ristabilire la fiducia
Con la nascita di Internet, i Media hanno iniziato ad “evolversi”: i ritmi del vivere quotidiano sono aumentanti e, paradossalmente, il tempo che i cittadini hanno da dedicare alla lettura è diminuito. Non si punta più sulla qualità del testo e sull’obiettività di un fatto, ma sulla tempestività: si tende cioè a dare il prima possibile la notizia, senza badare al suo contenuto. E così, ogni giorno ci ritroviamo invasi da un’informazione “fast-food” che in un primo momento sembra bastarci. Poi, analizzando meglio i contenuti che ci vengono proposti notiamo errori (concettuali e grammaticali) e una buona dose di “giudizio personale” che “contamina” il racconto dell’accaduto. E con l’avanzare dei social, sempre maggiore è la minaccia delle fake news, che sembra abbiano invaso Twitter e Facebook. In un lettore sorge, dunque spontanea la domanda: “Possiamo fidarci dei media?” Se si prendono in esame i dati pubblicati, nel 2016, dal Reuters Institute, osserviamo che solo il 33% degli italiani ha fiducia in chi fa informazione.
Secondo Maurizio Molinari, direttore de La Stampa, è il giornalista che deve fare il primo passo per recuperare la fiducia nei lettori, e deve farlo puntando proprio sulla qualità: “Viviamo in un periodo di accelerazione della Storia. Un periodo rivoluzionario. Quando si attraversa una fase di questo tipo, di drammatica trasformazione della realtà, solitamente si innesca un meccanismo che porta alla diffusione di false verità. E quando non si affrontano i problemi che generano questo cambiamento arriva la delegittimazione degli intermediari, che è dilagante, e investe tutti, compresi i giornalisti. La necessaria risposta strategica a questo fenomeno è l’assunzione di responsabilità nel descrivere la realtà. Come? Qualità, qualità, qualità. Lavoro, lavoro, lavoro. Andare in giro e scovare le notizie come si faceva 100 anni fa. Non siamo, come molti dicono, in una fase di demolizione del nostro mestiere ma di grande esaltazione. Esattamente perché tutto intorno a noi sta cambiando”.
Il ruolo, scontato, dei social
Tuttavia, quello che sempre più viene dato per scontato, è l’uso dei social come “mezzo” di diffusione di notizie. E questo perché chi usa Facebook o Twitter, per citarne alcuni, ragiona non secondo la logica della stampa tradizionale, ovvero: se desidero un’informazione la vado a cercare. Tutto il contrario: sarà la notizia a trovare il lettore. Seguendo questa logica, il controllo delle fonti è in mano al lettore e non più nel giornalista. Con i social network, dunque, è cambiato l’approccio stesso all’informazione. Quando Umberto Eco disse: “I social permettono alle persone di restare in contatto tra loro, ma danno anche diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano al bar dopo un bicchiere di vino e ora hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel”, voleva evidenziare il problema con cui si devono cimentare, ogni giorni, centinaia di docenti che si ritrovano ad insegnare ai ragazzi e ai giovani, utenti principali del web, “filtrare le informazioni di Internet. Anche i professori sono neofiti di fronte a questo strumento”, aveva aggiunto Eco. Il problema di fondo, dunque, oggi, non è la libertà di stampa in sé (ci sono delle leggi che la garantiscono), quanto il discernere se una notizia è vera o falsa. Ma per fare ciò bisogna partire dalle fonti, capire se quelle pagine del web che ci riportano un’informazione sono degne di credibilità o meno. Non sempre la spunta blu accanto al nome è sinonimo di verità.