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LEGHISTI SVIZZERI CONTRO GLI ITALIANI

Sta facendo scalpore, in questi giorni, il successo dell’iniziativa cantonale “Prima i nostri”, promossa in Canton Ticino dalle forze populiste Udc e Lega dei Ticinesi, la consultazione popolare propositiva, cioè, volta a stabilire una preferenza nell’assunzione ai lavoratori autoctoni rispetto agli stranieri.

Non è una novità che i toni, rivolti soprattutto verso i frontalieri italiani, si alzino nelle terre che vanno dal mendrisiotto al Gottardo, da anni si respira un certo fastidio verso i “badini” o “gli azzurri”, come sono chiamati in maniera dispregiativa gli abitanti della Penisola, che sono accusati, a fasi alterne, di rubare il lavoro o di intasare le strade del cantone ma negli ultimi due anni la questione dell’immigrazione, anche solo professionale, ha raggiunto un livello abbastanza preoccupante, anche se più a livello di atteggiamento che di sostanza.

Dopo il voto sull’iniziativa nazionale del febbraio 2014 riferita alla limitazione degli ingressi, anche temporanei, degli stranieri sul territorio elvetico, domenica 25 settembre gli abitanti della Repubblica e Cantone Ticino si sono espressi su un principio discriminatorio nelle assunzioni di nuovo personale volto a tutelare la popolazione autoctona. In pratica si vorrebbe imporre ai datori di lavoro che, a parità di titoli e di professionalità, la scelta dei nuovi lavoratori vada agli abitanti del cantone rispetto che agli stranieri.

Detta così potrebbe sembrare anche una norma di buon senso, indirizzata a proteggere la popolazione locale dal dumping salariale che verrebbe originato dal fenomeno dei “frontalieri” che spingerebbe verso il basso le remunerazioni locali, e che avrebbe già applicazione in altri stati, come nella Repubblica di San Marino dove le norme in tal senso sono assai più strutturate e restrittive ma, a tutti gli effetti, si tratta di un voto politico, sintomo di una percezione distorta da parte dei ticinesi.
L’iniziativa va a incidere direttamente sulla Costituzione del Cantone, modificandone sensibilmente diversi articoli e inserendo dei principi che farebbero sorridere più di un giurista.

Si va dallo stabilire che il Cantone debba “vigilare” sui trattati conclusi dalla Confederazione (art.4) all’introduzione del principio di preferenza del lavoratore autoctono (art.14, secondo comma) a una pretesa di limitazione della sovranità di stati esteri nel segno di una reciprocità degli obblighi sanciti dai trattati internazionali conclusi con la Confederazione che non varrebbe, però, per il Canton Ticino (art. 14, terzo comma, e art. 49, secondo comma) a una, qui doverosa e corretta, norma contro il dumping salariale (art. 50, secondo comma).

Approfondendo il tutto si capisce, comunque, che il dettato dell’iniziativa, che obbligherà a una modifica costituzionale, è abbastanza vago da divenire, nei fatti, di difficile attuazione anche perché andrebbe contro la Costituzione della Confederazione, in particolare all’art. 8 dove è sancito il principio di non discriminazione e gli artt. 166 e 184 che stabiliscono la competenza di ratifica dei Trattati Internazionali. A questo si aggiunga che l’istituto del “frontalierato” è una delle risorse più importanti nell’economia ticinese, dagli investimenti esteri, soprattutto italiani, e dall’indotto originato dai lavoratori stranieri dipende gran parte del benessere della regione.

I frontalieri portano non solo manodopera spesso qualificata ma anche risorse importanti provenienti dalle loro imposte che vanno a finanziare servizi locali dei quali essi non usufruiscono e che possono essere erogati, con coperture ben maggiori, ai residenti. Uno studio di Ubs di qualche anno fa sottolineava quanto fosse importante l’apporto dei lavoratori italiani in Ticino e quanto anche il livello occupazionale fosse figlio di questa particolare struttura economica.

Il richiamo al livello occupazionale, infatti, ha un’importanza fondamentale in questa vicenda: in Canton Ticino il tasso di disoccupazione è di circa il 3.1%, perfettamente nel range di quello che viene definito il tasso di disoccupazione frizionale (tra il 3 e il 4%), difficilmente diminuibile poiché rappresenta mediamente il numero di soggetti alla ricerca del primo impiego o temporaneamente disoccupati fra un occupazione e l’altra.

La sensazione, quindi, che i lavoratori stranieri vadano a “rubare” posti di lavoro è completamente priva di basi anzi sono proprio questi lavoratori che spingono verso il basso il tasso di disoccupazione creando indotto e bisogni che devono essere soddisfatti, quindi nuovi posti di lavoro. Quello che si potrebbe, invece, rilevare è che con il tempo l’afflusso di manodopera qualificata e di professionisti abbia portato i frontalieri a occupare posti di lavoro di livello più elevato, rispetto al classico manovale o alla cassiera della Migros, creando, magari, un certo disappunto da parte della popolazione ma questo è il mercato del lavoro ovunque, la ricerca di professionalità non si può bloccare con un’iniziativa populistica, cosa che sicuramente la maggior parte dei ticinesi ha pensato disertando le urne che hanno avuto un afflusso solo del 45% degli aventi diritto al voto.

Diciamo, quindi, che il risultato di questa votazione, che ha spinto numerosi titoli in prima pagina dei maggiori quotidiani italiani, è più un atto politico che una vera e propria chiusura, è stata un’iniziativa che ha applicato a un istituto importante di democrazia diretta il principio del click baiting per ottenere visibilità da parte delle forze promotrici ma che non porterà ad alcun concreto effetto nel futuro, anche perché la limitazione nella libera circolazione delle persone (anche a livello lavorativo) è una clausola di decadenza dei trattati di libero scambio con l’Unione Europea, cosa che provocherebbe un danno probabilmente fatale all’economia non solo del Cantone ma di tutta la Svizzera.

Certo è, però, che come termometro dell’aria che si respira oltre confine questo risultato dovrebbe far pensare.

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