Le schiave non possono aspettare

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Quattromila euro. Tanto è stata valutata la vita di Elena quando aveva 16 anni, dalla sua famiglia in Romania, che l’ha venduta ai boss della tratta di esseri umani. L’hanno portata in Italia e sbattuta in una stanza senza finestre: “Ero sola – racconta Elena – chiusa in un posto dal quale non potevo uscire. C’era un materasso, sporcizia per terra, e lì mi venivano portati i clienti che io dovevo soddisfare, con le buone o con le cattive”. Poi la strada, le minacce, le botte, le sigarette spente sulla carne, la paura. “Non potevo rientrare se non avevo guadagnato tra gli 800 e i 1200 euro; inutile anche ribellarsi, era solo peggio. Non mi mollavano mai, nemmeno quando ero in strada. Non potevo muovermi nemmeno per fare i bisogni…” Poi l’incontro con don Benzi e il lungo ma positivo percorso per affrancarsi da quel mondo di sfruttamento.

Elena ha raccontato la propria storia in occasione della presentazione, presso la sala Aldo Moro della Camera dei deputati, della proposta di legge sul “divieto di acquisto di servizi sessuali”, una normativa (formalmente depositata il 1 luglio scorso) che si prefigge di colpire la domanda per arrivare a bloccare l’offerta. Senza clienti – è il presupposto ideale – il business della prostituzione, e la tratta collegata, perdono di interesse. Per questo l’onorevole Gian Luigi Gigli, deputato di Gruppo per l’Italia, ha proposto come primo firmatario una legge per modificare le norme in materia di prostituzione. Un’azione bipartisan, che ha ricevuto l’appoggio dell’europarlamentare Pd Silvia Costa, del senatore Pd Gianpiero Dalla Zuanna, dell’ex questore Italo D’Angelo attualmente nella fila del Nuovo centrodestra.

“Pensare alla liberalizzazione della prostituzione e alla riapertura delle case chiuse come deterrente anticriminalità – ha spiegato Gigli – è uno sbaglio. Lo dicono i dati oggettivi: l’Olanda ad esempio, da sempre patria della cosiddetta libertà assoluta in questo senso, è in realtà il principale terminale della tratta di esseri umani. Così anche in Danimarca, dove si è andati verso la liberalizzazione pensando a un’automatica diminuzione del business della malavita salvo poi trovarsi con un aumento dei casi di criminalità.

Scoraggiare la domanda dunque è la linea da seguire. Lo ha detto chiaramente anche Giovanni Paolo Ramonda, Responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII: “Le ragazze sono vittime e mai complici, non facciamoci ingannare dagli ammiccamenti che sono costrette a fare da chi le schiavizza. Sono esperienze drammatiche, che hanno effetti pesantissimi sulla loro psiche. Giovani torturate, svendute, annichilite. Il loro grido d’aiuto non può più essere ignorato. Non bisogna compatirle, ma salvarle”. Uno schiaffo al pensiero diffuso per cui razionalizzare e regolamentare sia la soluzione al male.

Le donne costituiscono la maggior parte delle vittime di tratta di esseri umani: sono infatti circa il 60%, e se ci aggiungiamo anche le minorenni arriviamo alla drammatica cifra del 75% del totale. La tratta ai fini dello sfruttamento sessuale, poi, rappresenta circa il 58% di tutti i casi; la parte restante sono vittime di sfruttamento sul lavoro, accattonaggio e traffico di organi.
Nelle prossime settimane dovrà essere varato il Piano nazionale antitratta, all’interno del quale sarebbe opportuno inserire misure che scoraggino la domanda. La nostra legislazione è adeguata a perseguire l’obiettivo di liberare queste vittime? La risposta è no. Ecco perché è indifferibile agire: le schiave non possono aspettare.

In home page, nella sezione Interris Tv, l’intervista a Elena

 

Angelo Perfetti: