Si chiama Islam, ma la sua non è una guerra di religione. E’ una lotta per i diritti femminili, in un paese come il Bangladesh dove l’emigrazione femminile è altissima. Ma stavolta non è l’opulento Occidente la meta del viaggio, bensì i Paesi arabi, in particolare il Libano, la Giordania, gli Emirati Arabi, il Kuwait e l’Arabia Saudita.
Sumaiya Islam è un’attivista che difende i diritti dei migranti la cui organizzazione, Bangladesh Ovibashi Mohila Sramik Association (Bomsa), effettua corsi di formazione pre-partenza di sicurezza personale con le donne del Bangladesh. Islam organizza anche spettacoli pubblici dedicati alla sensibilizzazione delle violazioni dei diritti dei migranti nel Golfo
Si occupa soprattutto di accogliere le migranti che tornano in patria, ed assisterle se hanno bisogno di supporto psicologico nel caso abbiano subito violenze, fisiche o psicologiche, durante il loro percorso migratorio.
Attenzione, fare questo tipo di scelta in Bangladesh è molto diverso che in Europa. Tra febbraio 2013 e giugno 2016, almeno 14 difensori dei diritti umani, scrittori e attivisti laici sono stati assassinati in Bangladesh. Gruppi estremisti locali che hanno giurato fedeltà ad Al-Qaeda nel Subcontinente indiano spesso rivendicato la responsabilità degli attacchi, che hanno preso di mira gli attivisti che si prodigano per i diritti delle donne, dei popoli indigeni, la libertà di religione, e altre questioni relative ai diritti umani.
Quello che era iniziato nel 2013 come un assalto alla blogger che critica l’influenza dell’Islam fondamentalista sulla politica del Bangladesh, è diventato ormai uno status permanente di guerra, un ambiente letale per chi sostiene riforme connesse ai diritti umani.
“Se c’è l’opportunità di partire - dice Sumaiya riferendosi alle donne che cercano lavoro all’estero - è giusto che vadano. Ma devono emigrare con dignità, e i loro diritti devono essere rispettati, questa è la nostra principale preoccupazione. Alcune di loro hanno delle esperienze molto positive, cambiano il loro stile di vita, migliorano il loro livello di educazione, ma nella maggior parte dei casi vanno incontro a violenze e sofferenza, e il nostro obbiettivo è cercare di ridurre quel dolore”.
Negli ultimi anni, dice Sumaiya, è cresciuto in maniera esponenziale il fenomeno migratorio femminile. Sempre più donne bengalesi, che in genere provengono da zone povere e rurali, decidono di andare all’estero per lavorare come domestiche. “Quando partono i problemi principali sono la mancanza di cibo, i salari non adeguati, le violenza che subiscono, non gli viene dato da mangiare, non gli viene consentito di riposarsi, lavorano sempre ore in più, e subiscono diversi tipi di violenza, mentale, fisica e sessuale. Questa è la schiavitù moderna: le donne non hanno nessuna libertà, non possono andare da nessuna parte ”.
Si stima che ogni anno circa 500 mila cittadine bengalesi lascino il loro Paese per andare a lavorare all’estero. Le rimesse inviate dai migranti si aggirano sui 15 miliardi l’anno, ovvero l’otto per cento del prodotto interno lordo del paese. Il governo, quindi, cerca di favorire il fenomeno migratorio, senza troppe attenzioni ai diritti dei migranti. Quando si parla di periferie esistenziali è difficile cogliere il senso di quelle parole; casi come questi, dove la lontananza geografica rispetto all’Occidente si sovrappone all’assenza di diritti umani, alla povertà, la violenza, la schiavitù, ecco che il concetto prende drammaticamente corpo.
Come risultato di uccisioni e attacchi, nella maggior parte dei casi c’è l’impunità, e il rifiuto delle autorità di proteggere i difensori dei diritti umani. Un dato: ad oggi sono oltre 45 i difensori dei diritti umani del Bangladesh uccisi, i più importanti dissidenti e scrittori sono ora morti o in esilio o hanno cessato di scrivere. Per fortuna c’è ancora chi resiste…