Che Natale sarebbe senza regali? Se non ci fosse alcun dono sotto l’albero, avrebbe ancora senso allestirlo? Esiste, probabilmente, un intero universo di ragionamenti in questo senso, ognuno dei quali con le sue motivazioni, plausibili o meno. Ma, andando davvero a fondo della questione, non c’è tesi che tenga: la tradizione dei regali di Natale è radicata, ossidata, fa parte della concezione stessa che abbiamo di questa festa. Del resto, quella del dono non è una pratica inventata di sana pianta, ma affonda nel nostro passato, fregiandosi di illustri precedenti storici. Basti pensare all’usanza dei Saturnali romani, ovvero le celebrazioni in onore dell’insediamento nel tempio del dio Saturno, salutate dal rituale scambio dell’io saturnalia e dallo scambio delle strenne, piccoli doni simbolici di buon augurio.
Non è forse necessario scendere nel dettaglio dell’ancestrale tradizione del regalo, se non che sottolineare l’importanza che la simbologia del dono ha sempre rivesto nelle diverse società umane, non solo in quella occidentale ma anche in strutture sociali complesse e differenti dalle nostre come, con le dovute differenze, quella delle isole Trobriand, in Oceania, dove l’antropologo Bronislaw Malinowski studiò l’articolato rituale del kula, durante il quale l’intera popolazione dell’arcipelago si adoperava in un reciproco scambio di oggetti. Una tradizione bella e antica, quella del “regalo”, simbolo di rispetto reciproco, ma anche di affetto e di un legame sussistente.
Per questo senza regali non sarebbe Natale. C’è un’impalcatura portante sotto la superficie di questa consuetudine, che va ben al di là del semplice consumismo, anche se, al giorno d’oggi, è proprio di questo che sempre più spesso si parla: la frenetica ricerca di un pensiero (piccolo o grande), costituisce davvero l’essenziale punto focale attraverso il quale interpretiamo, in questo momento storico, le festività di dicembre? Va forse fornita una risposta a metà strada: da una parte, infatti, è innegabile che il denaro si spenda; dall’altra, però, è anche vero che la carica emotiva aprioristica insita nell’usanza, la rende in un certo senso una spesa obbligata, calcolata. Tradizionale, per l’appunto.
Quest’anno, però, questa tesi sembra essere meno valida rispetto al passato, almeno stando ai dati forniti dall’Ufficio Studi di Confcommercio. E attenzione, non un passato particolarmente lontano, ma non più che qualche anno. Dall’indagine effettuata, infatti, risulta una piccola inversione di tendenza da parte degli italiani sulle spese natalizie: circa 164 euro a persona, l’1,2% in meno dello scorso anno, anche se la spesa complessiva, prendendo in oggetto gli ultimi 7 anni, sale di circa il 30%. Sia chiaro, non numeri eccessivamente scoordinati tra un’annata e l’altra ma, tutto sommato, indicativi, soprattutto pensando al contemporaneo tasso di crescita globale del reddito disponibile (una media di circa 1331 euro a famiglia, più 3,1% rispetto allo scorso anno). Secondo l’associazione di categoria dei commercianti, il dato si spiega con un semplice concetto: “Il Paese non ha trovato una chiara direzione di marcia e molte sono le debolezze dal punto di vista della crescita. La politica dei bonus funziona nel breve termine, serve invece un messaggio chiaro alle forze produttive con il taglio generalizzato alle aliquote Irpef”.
Cosa significa questo? Non certo che gli italiani non si adopereranno per garantire la presenza dei pacchi sotto l’albero ma che questi, rispetto agli anni passati, non rappresenteranno la principale uscita finanziaria verso la quale si concentreranno le venture tredicesime. In sostanza, il 71,7 % degli italiani prevede “un Natale molto dimesso”. Numeri in leggerissimo calo rispetto allo scorso anno (72,9%) ma che si mantengono su standard decisamente elevati rispetto al 33,7% registrato nel 2009. A conti fatti, conclude il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, gli italiani continueranno a spendere, ma non tutto nei regali, “la cui spesa dovrebbe essere in linea con quella dello scorso anno, quanto piuttosto nelle spese per la casa, per gli alimentari da ricorrenza e per le vacanze”. L’occasione della mensilità numero 13, dunque, non verrà impiegata tutta nei pacchi-regalo ma, più in senso pratico, per la buona riuscita di un cenone, magari risparmiando qualcosa per un viaggio. “Tuttavia – ha concluso Sangalli -, la vitalità dei consumi, fino ad oggi incerta e discontinua, anche a dicembre sarà condizionata da un clima di fiducia pericolosamente decrescente che potrebbe portare le famiglie a risparmiare anziché consumare”.
Dunque, i regali si faranno ma con una certa moderazione, in nome di un prudente risparmio. Al netto della freddezza estetica propria dei dati statistici, nell’era del consumismo risulta quantomeno strana quest’inversione di tendenza, proprio sotto le feste. Colpa della crisi? Delle vendite online? A quanto sembra, un po’ di tutte e due le cose. Resta il fatto che, rispetto agli standard abituali, gli italiani dedicheranno meno attenzione al momento topico a cavallo dei mesi di novembre e dicembre. Un dato, questo, che potrebbe contribuire a sminuire il valore tradizionale del regalo?
Va ricordato che i numeri in questione differiscono decisamente poco rispetto a quelli dello scorso anno, segno di una tendenza tutto sommato stabile. Ciò che sta cambiando è forse la concezione che noi stessi abbiamo della pratica-regalo: può accadere che la tradizione, come visto ben più che assodata, si plasmi camaleonticamente in una sorta di obbligo da onorare? Con i ritmi incalzanti della vita odierna la risposta sembrerebbe facile. Eppure, assimilando progressivamente dati e previsioni sempre differenti, non passa Natale senza che ci si appresti all’adempimento di questa implicita usanza. Segno di una tradizione che, in un modo o nell’altro, resta parte di noi. E che, inevitabilmente, finisce per vincere. Con buona pace di una dimensione spirituale sempre più lasciata ai margini della nostra vita.