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Lavoro minorile, il 50% dei genitori italiani non è contrario

Il lavoro minorile è una piaga che affligge anche i Paesi del cosiddetto Occidente sviluppato. Infatti si stima che in Italia i baby lavoratori di età compresa tra i 7 e i 16 anni siano circa 260.000, cioè circa il 7% della popolazione di questa fascia d’età. Questo è ciò che è emerso da un rapporto di Save the Children. Ristorazione, vendita, edilizia, agricoltura e allevamento, meccanica alcuni dei principali settori di impiego di questi giovanissimi.

Esperienze di lavoro minorile fra le più dure, sommerse e molto spesso collegate all’abbandono della scuola. Quest’ultima infatti viene vissuta non come un’opportunità ma come un ostacolo, poichè proprio la dura condizione lavorativa porta il ragazzo ad una frequentazione scolastica saltuaria, quindi scarsi risultati, bocciature e insuccessi. Ma sembra ci sia di più: infatti la difficoltà a portare avanti un lavoro duro e mal pagato spingerebbe i baby lavoratori a ricercare una più semplice soluzione di guadagno compiendo atti illeciti.

Altri sono i dati allarmanti: infatti secondo un’indagine dell’Osservatorio nazionale su infanzia e adolescenza (Paidoss), 1 genitore su 2 non si opporrebbe se il proprio figlio under 16 volesse lasciare la scuola per lavorare. Il 54% ritiene che la crisi giustifichi almeno in parte tale scelta. Al dato se ne affianca un altro di Datanalysys, secondo cui il 30% dei genitori pensa che il lavoro minorile riguardi gli stranieri e il 55% che interessi i Paesi sottosviluppati. Ma non è così: in Italia i baby lavoratori nel 73% dei casi sono giovani italiani mentre il 27% è costituito per lo più da ragazzi di origine straniera (in genere della Romania, Albania, Africa del nord).

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