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L’AUTISMO RACCONTATO DA CHI LO VIVE

“La prova più difficile era la parola. Potevo sentire, ma non parlare. La parola era ansia. Preferivo chiudermi e non sentire”. In un mondo in cui le parole si sprecano, nel magico mondo di Pier Carlo pesano. Ognuna di essa viene scelta accuratamente, descrive un’emozione, il viaggio interiore che faticosamente ogni giorno porta a galla perché “cupola di vetro sopra laguna ghiacciata è l’autismo chiuso dentro se stesso”. Pier Carlo Morello, 35 enne di Volpago del Montello, in provincia di Treviso, è un “autistico severo”, cosciente di esserlo, che ha deciso di rompere il suo silenzio. “Quando ero piccolo, credevo di non esistere, pensavo di essere la coda della mamma“.

Domare la paura di muoversi, di prendere in mano un giocattolo, delle cose che cambiano di posto, di esistere, era difficile. Ma si ritrova con due genitori tosti, che non mollano di fronte alle difficoltà. Viaggi, mostre, ogni occasione è buona per stimolare l’interesse del figlio. A Pier Carlo qualche volta veniva voglia di gridare: “Lasciatemi in pace“, mentre invece tutti gli chiedevano di parlare. A quattro anni, abbagliato da quella palla rotonda in cielo, dice: “Luna”, collegando per la prima volta una parola a una cosa. A cinque comunica con qualcuno grazie alla determinazione del papà che, racconta, “mi voleva aiutare parlandomi continuamente. Mi diceva: ‘A me gli occhi’ per farmi stare attento. Il gioco mi piaceva e riuscivo a capire le parole”.

All’inizio non sa leggere un libro. Impara tutto a memoria, dalla copertina al prezzo, compreso il codice a barre. Ma sullo schermo scopre che riesce a leggere meglio che su carta: “Cervello autistico nativo digitale è”. E attraverso il digitale libera la sua comunicazione in un modo del tutto particolare, utilizzando la “comunicazione
facilitata”. Lui, un computer, e i suoi angeli custodi: Lisa, Emanuela e Laura, tre psicologhe del Centro sperimentale di Padova per i disturbi della comunicazione, diretto dalla neuropsichiatra Vittoria Cristoferi Realdon, che lo rassicurano e lo aiutano a comporre testi. Ma anche suo papà Luciano acquisisce le competenze dei facilitatori.

A questa grande scoperta che gli apre un mondo arriva a 14 anni, in terza media. Prima di allora l’inclusione a scuola è un viaggio in salita. “Sacco di malattia mi portavo in spalla e mi nominavano handicappato. Contavo solo fuori della classe”. La mancanza della parole era un muro difficile da superare. “Gola con lacci impedisce uscita parola richiesta per riuscita scolastica”. Pier Carlo è uscito dalla sua clandestinità, livelli impensabili ha raggiunto. La notizia della sua laurea nel 2014 in Scienze umane e pedagogiche all’Università di Padova, ha fatto il giro d’Italia. Ma ancor di più ha suscitato stupore l’uscita del suo libro: Macchia, autobiografia di un autistico, Salani editore, in cui racconta l’autismo dall’interno, il suo, per aiutare a leggerlo da una prospettiva diversa. Il linguaggio è poesia che diventa canto. Pennellate di immagini impressioniste seducono il lettore. “Forzo il mio scrivere per sfasciare la sicurezza antica dell’autismo. Canto la difficoltà della persona autistica nel comunicare”.

Il suo cammino rimane un percorso ad ostacoli, ma cammina e cerca di farlo bene. Il lavoro sociale che svolge in mezzo ai bambini alla scuola d’infanzia di Venegazzù è per lui difficile ma sente che migliora la sua vita. “Mangio calore nel riso dei bambini” e per loro “sono il maestro del silenzio: non uso parole”. Ho varcato la soglia della sua casa e mi ha fatto entrare nel suo mondo fatto di sguardi fuggevoli. Un caffè e un dolcetto
insieme al papà, giusto per conoscerci un po’. Il suo dolce sorriso mi mette subito a mio agio. Le mie domande si perdono nel silenzio ritmato dal lento ticchettio della tastiera. “Il tempo è breve, la scrittura autistica no”. Lettera dopo lettera il suo pensiero prende
forma. Macchia esiste.

Chi è Macchia?
“Cammino mio molto da lacci segnato. Mansueto colore di dolore”.

Come riesci a scrivere in maniera così poetica?
“Molto difficile e lento mio comunicare. Condenso parole”.

Cosa significa per te essere considerato autistico severo?
“Necessito capire: mio mondo è alieno? Canto vita, macina diversità per burocrati e saperi di marmo. Patenti servono per sdoganare vite”.

Come mai hai deciso di raccontarti in un libro?
“Non ho deciso, ma allevatore di libri ha letto miei scritti e deciso di fare libro”.

Quanta fatica hai fatto e quanto tempo hai messo per fare questo libro con l’editor?
“Molto, ma cammino esaltante è stato”.

Avendo scritto un libro così convincente, qualcuno ha dubitato che tu sia veramente un autistico. È un complimento per te?
“Va, che mangiano sassi di cazzate. Più cose non capiscono, più induriscono saperi e teste”.

Comunichi con la Comunicazione Facilitata, è stato facile impararla?
“No, carichi di pensieri invirgolati vanno sciolti. Aiuto di mano appoggiata ansia riduce. Allinea pensieri».

Hai scritto che l’angoscia è il lago nero dell’autismo; hai imparato a nuotare?
“Sì, ma a modo mio. Avvito nascita di ogni momento in incontri. Fermo vita su linea solida di navigazione”.

Riesci a spiegarti meglio?
“Avvito molto mio navigare su mare mosso da onde di angoscia e cerco inclusione vita”.

Chi ti ha aiutato a conquistare questi risultati verso l’inclusione?
“Un sacco di persone, sopratutto papà e mamma, ma sono capace di vivace fulgore con mano di Laura e mani di Emanuela”.

Quanto è stato importante per te l’aiuto della tua famiglia?
“Macchia vive con sua famiglia. Navigo sereno e canto mio va con vita”.

Primo autistico italiano a laurearsi. Ti consideri un caso eccezionale?
“No, solo più stimolato”.

La cosa più bella del percorso universitario.
“Valore avere come tutti gli altri studenti. Valore avere e scoprire tesori dentro mio sacco oscuro”.

Prima parlavamo della tua scrittura poetica. Scrivi in maniera molto ricercata, visiva. Come hai imparato a scrivere così?
“Ascolto e metto nel mio sacco, sacco mio è pieno di immagini in cerca di parole soffocate dentro”.

Leggi molto? E cosa leggi?
“Sì, sacco di storie vedo su libri. Ogni giorno accumulo mio mondo, ma navigo meglio con immagini e foto: più facile ricostruire e capire è”.

Cosa ti piace cogliere delle parole?
“Come suono arriva. La realtà solo dopo riempie il significato, o resta vuota”.

Le tue parole come musica. Evocano immagini, suoni, sensazioni. Che musica ascolti?
“La musica tutta mi piace. Scopro sereno e colori. La musica non chiede, dà”.

Come ti fa sentire?
“Ritmi di suoni avvolgono, sospendono. Macchia si scioglie, vibra. Polvere di oro si leva e volo su mio mondo più lieto”.

“Cammino con chi di me si interessa e vuole navigare” scrivi. Hai amici?
“Pochi e transitori. Ognuno ha sua vita. Mangio mania di continui cambi. Valgo solo come caso di studio e lavoro. Bave di vacue barriere mi restano. Cerco senza tregua indizi di vita sociale”.

Cosa ti aspetti da loro e tu cosa sei disposto a dare?
“Sana voglia di misurasi con me. Difficile sono: entro e mi rinchiudo, resto muto e spento. Niente so dare. Sana voglia di accoglienza dei miei lacci cerco”.

Che sport pratichi? Quanto ti alleni?
“Corro su strada e pista. Cavo mania di stare con altri, di sciogliere lacci. Cammino e corro sempre per sentire di essere”.

Qual è il colore di Dio per te?
“Arcobaleno. Accoglienza. Va con un sacco di provvisori amici che lasciano loro tempo per stare con macchie come me. Va con possibilità di lavoro vero. Va con magia vita di stare insieme ad altri. Dimenticando lacci”.

“Mano nella mano sarò sempre con il mio autismo”. Qual è il tuo sogno oggi?
“Sogno libertà da lacci, ma io so che da autismo non si guarisce. Sogno di poter stare con gli altri, di avere mio posto dentro comunità umana. So che sono cavia dell’evoluzione umana e mappa mio destino è confusa. Sogno strane isole di felicità senza muri”.

Tratto da “Sempre”

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