La Food and Drug Administration statunitense ha annunciato che proporrà la fine del divieto di donare sangue imposto agli uomini che hanno avuto rapporti sessuali omosessuali. L’iterdizione, che finora veniva imposta a vita, verrà sostituita da un periodo di sospensione di un anno dopo il verificarsi del rapporto omosessuale.
Nel 1983, la Fda, l’ente governativo che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici negli Stati Uniti, aveva deciso di precludere la donazione di sangue a qualsiasi uomo che avesse avuto rapporti omosessuali a partire dal 1977. Il divieto era stato inizialmente imposto perché omosessuali, prostitute e tossicodipendenti erano considerati statisticamente più a rischio di contrarre l’hiv.
All’inizio degli anni ottanta si conosceva molto poco il virus e non erano disponibili metodi veloci per stabilire se una sacca di sangue fosse infetta: tuttavia, da vent’anni a questa parte, i test che rilevano la presenza virus nel sangue sono diventati sempre più precisi e affidabili. Per questo gli attivisti per i diritti degli omosessuali ritengono il divieto ormai discriminatorio e basato su timori infondati.
La richiesta di un anno di castità, spiega la Fda, è una “barriera necessaria a garantire la sicurezza delle scorte di sangue da donare”. L’abolizione, seppur parziale, dell’interdizione allinea gli Stati Uniti a molte nazioni europee, tra cui il Regno Unito, che ha fatto lo stesso nel 2011. Le linee guida italiane, invece, prevedono l’esclusione temporanea dalla donazione per persone – sia uomini che donne, sia etero che omosessuali – che hanno avuto, meno di quattro mesi prima della donazione stessa, “rapporti sessuali occasionali a rischio di trasmissione di malattie infettive o rapporti sessuali con persone infette o a rischio di infezione da Hbv, Hcv e hiv”.