L’ABORTO E’ UN DIRITTO? CHIEDETELO A LEI

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“Se l’aborto è un diritto, dov’era il mio quando provarono a sopprimermi nel grembo materno?”. Il racconto della sua storia personale colpisce come un pugno sullo stomaco, ma il suo sorriso è un inno alla vita che prevale sul rancore.

A parlare con In Terris è Gianna Jessen, attivista pro-life statunitense sopravvissuta ad un aborto salino. È l’aprile 1977 quando sua madre, una diciassettenne del Tennessee, si reca in una clinica dell’industria abortista Planned Parenthood per chiedere di interrompere la gravidanza giunta già al settimo mese.

Destinata a morire

La pancia è grande quanto il cinismo dei medici, i quali la fanno accomodare in una sala d’attesa insieme ad altre ragazze in procinto di essere sottoposte ad aborto. Arriva il suo turno. Il metodo di operazione è atroce. Fatta stendere su un letto, le viene iniettata una soluzione di sale nell’utero. La prassi è che il bambino inghiottisca la soluzione, venga bruciato dentro e fuori, e poi che la madre lo partorisca morto entro ventiquattro ore.

Il miracolo

Ma nel caso di Gianna la prassi lascia il posto alla sorpresa. Dopo diciotto ore dall’iniezione, la piccola nasce viva. La fortuna è che non è di turno il medico che risolve questi casi straordinari. Un modo di risolverli che ha dell’agghiacciante: negli Stati Uniti prima del 2002, infatti, ogni bambino sopravvissuto all’aborto veniva strangolato, soffocato o semplicemente lasciato morire d’inedia.

La legge “Born Alive Infants Protection Act”, approvata dal Governo Bush in quell’anno, ha messo fine a questa barbarie a cui Gianna è riuscita miracolosamente a scampare. Da neonata pesa novecento grammi e ha una condizione di salute precaria. Un’infermiera la fa trasferire in ospedale. Qui sfida il parere dei medici e riesce a sopravvivere. Viene adottata da una famiglia che la accompagna in un difficile ma proficuo percorso di fisioterapia.

Attivista

Oggi Gianna ha degli affetti, ha studiato, cammina benché con difficoltà e gira il mondo per raccontare la sua storia. In questi giorni è a Roma, grazie all’associazione ProVita, ed oggi partecipa alla settima edizione della Marcia per la Vita che si snoda per il centro della Capitale.

Discriminata

La sua è una voce scomoda. Lo testimonia la censura cui è stata oggetto nei giorni scorsi nell’Università Roma Tre. Avrebbe dovuto partecipare a una conferenza, ma a meno di ventiquattro ore dal suo inizio un paio di professori avrebbero revocato la concessione dell’Aula dove si sarebbe dovuta svolgere.

Un fatto che la stessa Gianna definisce “allarmante”, perché “l’Università dovrebbe essere un luogo di libertà” e non di “discriminazione, per giunta nei confronti di una donna disabile”. Questa censura fa seguito ad episodi analoghi avvenuti negli Stati Uniti. “C’è un diffuso tentativo di controllo del pensiero – osserva Gianna – che si attua offrendo all’opinione pubblica un solo punto di vista su questi temi”.

Punto di vista che – prosegue – si pone in contraddizione con la scienza. Gianna sottolinea che “il cuore dell’embrione batte già dopo pochi giorni dal concepimento, dunque la vita è presente. Eppure, nonostante questo sia riconosciuto, l’aborto è comunque consentito”.

Speranza

Gianna custodisce tuttavia la speranza che negli Stati Uniti sia in atto un cambiamento politico radicale a favore della vita nascente. Si dice fiduciosa perché Donald Trump, tra i primi atti una volta entrato nella Casa Bianca, ha firmato un ordine esecutivo che blocca i finanziamenti del Governo federale alle organizzazioni non governative che praticano aborti all’estero. E poi, poche settimane fa, ha firmato un documento sulla libertà religiosa che consente alle aziende di potersi astenere dal fornire ai propri dipendenti copertura sanitaria che include la contraccezione gratuita.

“Sono convinta che Trump cambierà la legge sull’aborto”, dice Gianna. Ed aggiunge: “Molti erano scettici nei suoi confronti durante la campagna elettorale, ma ora si stanno rendendo conto che sui temi della bioetica lui sta facendo più di quanto sia mai stato fatto prima”.

Testimonianza

Ma le leggi da sole non bastano. È la cultura che va cambiata. La testimonianza di Gianna Jessen in questo senso è preziosa. Ecco cosa racconta: “Sono molte le donne che mi hanno confidato che volevano abortire, ma che dopo aver sentito la mia storia, hanno deciso di tenere il bambino”.

Vicende che riempiono il cuore di Gianna di gratitudine. Come quelle dei numerosi medici che un tempo praticavano aborti e che poi, esausti per il tanto male provocato anche a sé stessi, sono diventati obiettori di coscienza. “È piacevole parlare con loro, ne ho incontrati tanti – spiega – ed ogni volta leggo in quegli occhi un senso di serenità dovuto al sincero pentimento”.

Gianna è credente. Confida in Gesù e nella sua misericordia. Ma il suo racconto penetra i cuori di tutti, anche di chi è lontano dalla fede: “Parlo per conto dei tanti bambini morti e di quelli che verranno uccisi in futuro. Oggi si discute tanto di diritti, ma spesso ci si dimentica dei loro”.

Federico Cenci: