Una nuova vita. E la ricerca di un lavoro, non appena le autorità italiane avranno concesso il permesso di soggiorno definitivo. La sogna Abir, profuga che viene dalla Siria. Dal mese di maggio, la donna è ospitata con i suoi due figli presso la parrocchia di Nostra Signora di Bonaria di Ostia, il quartiere marittimo di Roma, da quando cioè don Carlo Turi, 50 anni, 25 anni di sacerdozio alle spalle e da 8 parroco di Nostra Signora di Bonaria a Ostia, ha raccolto l’appello lanciato da Papa Francesco.
Poco prima dell’Angelus del 6 settembre dello scorso anno, alla vigilia dell’Anno Santo della Misericordia, Papa Francesco aveva invitato ogni parrocchia ad accogliere una famiglia di profughi rivolgendosi anche ai vescovi di tutta Europa. Il primo ad aprire le porte era stato proprio lui: due famiglie di profughi avevano trovato ospitalità nelle due parrocchie del Vaticano. “La misericordia di Dio – avevano affermato il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco, e il segretario generale Nunzio Galatino – non è un’idea astratta, ma una realtà concreta attraverso la quale Egli rivela il suo amore”.
Abir ha 40 anni, i suoi due figli si chiamano Violet, 15 anni, e Josef, 12 anni. Provengono da Aleppo e sono cristiani cattolici. Il marito di Abir si è allontanato dalla famiglia quando i figli erano ancora molto piccoli. “Fanno parte di una famiglia numerosa e molto unita, benestante e istruita – racconta don Carlo Turi –. Abir lavorava in aeroporto e viaggiava molto; i suoi figli frequentavano una scuola privata di lingua inglese. Da cristiani in un paese arabo vivevano liberamente e senza limitazioni, come tutti gli altri cittadini”.
Da 4 anni la Siria è dilaniata dalla guerra: prima quella tra i ribelli e il regime di Bashar al-Assad, poi dall’avanzata dei jihadisti dello Stato Islamico. E le vite di Abir, Violet e Josef sono state completamente stravolte. “Da quando la situazione è precipitata – aggiunge il parroco di Nostra Signora di Bonaria di Ostia – erano in pericolo di vita, in ogni momento della giornata; i servizi essenziali erano diventati carenti e incostanti, era diventato difficilissimo procacciarsi i beni di prima necessità come il cibo e, persino, l’acqua. Hanno vissuto nella paura e visto orrori di ogni tipo. Era rischioso uscire di casa per andare a scuola, che funzionava irregolarmente”. Ma Abir e i suoi ragazzi si ritengono comunque “fortunati”, poiché nessuno dei loro familiari stretti è stato ferito o, peggio, ucciso.
“Per mesi hanno dormito sul pavimento – spiega ancora don Carlo Turi – per evitare che un proiettile vagante, penetrando dalle finestre, li colpisse nel sonno. Tenevano in casa un’arma per difendersi, che fortunatamente non hanno mai dovuto usare. Abir, inoltre, si era procurata una bomba a mano: nel caso in cui fossero arrivati i miliziani dell’Isis per catturarli, ben sapendo che li avrebbero uccisi in modo atroce, si sarebbero fatti saltare in aria abbracciati”.
Così, alla fine, Abir ha deciso che, soprattutto per i il futuro dei suoi figli, doveva andare via. Lasciare Aleppo, lasciare la sua terra. Sua sorella vive stabilmente in Italia da oltre 20 anni: è sposata con un uomo italiano, frequentano la parrocchia di Nostra Signora di Bonaria di Ostia. Da qui, il contatto, la speranza, il viaggio e un mondo nuovo senza la guerra.
“Quando sono arrivati erano spaventatissimi – racconta in conclusione don Carlo Turi –: il viaggio da Aleppo fino al Libano attraverso il corridoio umanitario era durato giorni, pieno di pericoli. Avevano visto in tv le scene della polizia che respingeva i siriani alla frontiera europea. Abir e i suoi figli pensavano che l’Europa non li volesse”.
E invece, un applauso che sembrava non volesse finire li ha accolti durante la messa domenicale quando don Carlo li ha presentati all’affollata assemblea. Negli occhi della famiglia di Aleppo, tanta sorpresa e tanta commozione. La comunità di Santa Bonaria è esplosa. Ma non come una bomba. Per questa comunità della periferia romana la storia di Abir e dei suoi figli è una storia che esplode di accoglienza e di solidarietà. La famiglia di profughi siriani ha trovato ospitalità in un piccolo appartamento della parrocchia, madre e figli stanno provando a ricostruire le loro vite, stanno facendo nuove amicizie. Un gruppo di volontari insegna l’italiano a Violet e Josef che hanno iniziato a frequentare le scuole pubbliche della zona: la ragazza il liceo scientifico, il ragazzo la scuola media. Oggi, la loro è una storia concreta di piccoli passi possibili. Proprio qui, dove Roma incontra il suo mare, tra palazzi di otto piani, il mercato coperto e il cielo carico di aerei, che decollano o atterrano al vicino aeroporto Leonardo Da Vinci di Fiumicino.
Dopo l’appello lanciato da Papa Francesco, “l’impegno delle chiese in Italia, già significativo per le oltre 22 mila persone accolte, si è allargato ad almeno 30 mila richiedenti asilo e rifugiati, con un’attività che è andata oltre la collaborazione istituzionale con le Prefetture e i Comuni, per trovare forme nuove e familiari di accoglienza in parrocchia, per oltre 5 mila richiedenti asilo e rifugiati, e in famiglia per almeno 500 adulti, grazie anche al progetto della Caritas italiana”, ha detto monsignor Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, che ha stilato un rapporto ad un anno di distanza.