Il dialogo con il Vaticano, la sorte del vescovo Shao Zhumin, i diritti umani. Argomenti di grande attualità che riportano l’attenzione internazionale sulla Cina. Su questi e altri argomenti In Terris ha intervistato padre Bernardo Cervellera, direttore di Asianews.
Venerdì prossimo sarà il decimo anniversario della pubblicazione della lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi. Qual è la loro condizione attuale?
“Ai tempi di Benedetto XVI la Chiesa in Cina era molto riconciliata, infatti la lettera fu inviata non ai cattolici ufficiali o a quelli sotterranei, ma a tutti perché la maggior parte dei vescovi, anche ufficiali, si erano riconciliati con Roma. C’era un senso di unità molto chiaro e molto chiare erano le cose da fare: riconciliazione tra le comunità e chiedere all’autorità politica quel minimo di libertà religiosa che comprende le nomine dei vescovi e l’astenersi dal compiere gesti contro la fede, anche se per caso si fosse costretti ad appartenere all’Associazione patriottica (la Chiesa ufficiale, che conta una sessantina di vescovi, appoggiata dal governo ma incompatibile con la dottrina cattolica, ndr). Dopo 10 anni possiamo dire che a causa delle manipolazioni del partito o delle sue diramazioni, come la stessa Associazione patriottica, la Chiesa è più divisa”.
Perché?
“Perché sono iniziati dei tentativi di dialogo, a partire dal ministero petrino di Papa Francesco, che hanno portato da una parte il Vaticano a rispettare la Cina, e quindi a non procedere a ordinazioni se non concordate e a non fare gesti inconsulti verso il governo mentre non si è fermato l’atteggiamento dello Stato nel continuare a compiere atti che portavano a confondere le idee ai fedeli, come ordinazioni illecite di vescovi non concordate con la S. Sede oppure ordinazioni concordate e quindi lecite ma affiancate a forza, con il potere della polizia, da vescovi illeciti, e quindi scomunicati, per rendere ambigue, confuse le cose dal punto di vista della fede. In più ci sono state arresti di vescovi, assassinii di sacerdoti e preti rinchiusi nei lager e quindi la situazione è molto più confusa, con una Chiesa molto più divisa, perché di fronte a questo stato di cose ognuno ha cercato di affermare la fede dalla sua posizione”.
Le conseguenze?
“Da una parte molti cattolici sotterranei non vogliono più saperne di lavorare con vescovi ufficiali che talvolta sono opportunisti e lavorano un po’ troppo a favore del governo piuttosto che della Chiesa. Dall’altra i vescovi ufficiali cercano di rigettare la Chiesa sotterranea come un retaggio del passato perché adesso, a loro dire, in Cina c’è la libertà e si può fare tutto quello che si vuole. In realtà non c’è libertà religiosa: i vescovi sotterranei e i sacerdoti hanno una semplice libertà di culto ma sono sotto controllo, vengono seguiti i loro spostamenti, come anche quelli dei fedeli; ci sono telecamere nelle parrocchie, negli uffici, nelle strade limitrofe. Sembra che la Cina in qualche modo senta sempre di più la religione come una minaccia”.
La S. Sede ha espresso preoccupazione per la sorte di mons. Shao Zhumin.
“Il vescovo di Wenzhou l’ultima volta è stato arrestato il 18 maggio. Fu invitato nell’Ufficio degli affari religiosi e poi è scomparso. Da più di un mese è nelle mani della polizia. I fedeli pensano che lo stiano sottoponendo a un lavaggio del cervello per costringerlo ad iscriversi alla Chiesa patriottica. Il grosso problema è che nessun fedele sa neppure dove sia. Siccome in passato alcuni vescovi che erano scomparsi sono riapparsi cadaveri, la cosa preoccupa molto. Anche la madre (noventenne, ndr) di mons. Zhumin ha lanciato un appello per la sua liberazione. Il fatto è che stiamo parlando del vescovo di una comunità che appartiene per il 70% alla Chiesa sotterranea e che quindi le autorità vogliono penalizzare in modo assoluto”.
Ma il dialogo tra S. Sede e Cina potrà avere un esito positivo?
“Non sono del partito degli ottimisti che già un anno fa dicevano che è tutto pronto, ci sono gli accordi, prima a ottobre, poi a novembre, poi a dicembre… non è avvenuto nulla di tutto questo. Diciamo che è iniziato un percorso molto accidentato perché il Partito comunista non vuole assolutamente cambiare nulla della sua politica sulle religioni e il problema è che ci sono in ballo soprattutto le nomine dei vescovi, se l’ultima parola debba essere del Papa o del governo. Su questo si sta discutendo, probabilmente ci sarà un’intesa ma il timore di molti cattolici è che il Vaticano, pur di avere un rapporto con la Cina, sia disposto ad accettare tutto e per questo ci sono tante messe in guardia da parte dei fedeli cinesi”.
L’Occidente sembra più interessato ai rapporti economici col gigante cinese che al rispetto dei diritti umani. Cosa pensa della scarcerazione del premio Nobel Liu Xiaobo?
“Penso sia un modo per lavarsene le mani perché Liu è imprigionato dal 2009, dovrebbe scontare 11 anni ma è gravemente malato e la Cina non vuole farlo morire in prigione perché verrebbe accusata di averlo ammazzato. D’altra parte averlo tenuto in isolamento, lontano dai parenti, mentre tutto il mondo lo applaudiva come la personalità più profetica e più intelligente in Cina, ha creato le basi per una afflizione spirituale, psicologica e quindi anche corporale di Liu Xiaobo. Ma il suo è solo un esempio. Almeno a partire dal 2015 c’è stata una campagna contro i cosiddetti avvocati per i diritti umani. Ne hanno arrestati addirittura 300, di cui la metà cristiani, in maggioranza protestanti ma anche cattolici. Sono persone che cercano di difendere casi come quelli di persone che hanno avuto la casa distrutta o sequestrata, villaggi in cui le fabbriche hanno inquinato le acque rendendo impossibile l’agricoltura e l’allevamento, cristiani perseguitati, comunità che si sono viste distruggere la Croce o la chiesa, basandosi sul diritto cinese. Ma siccome avevano un grande seguito e mettono in pericolo la supremazia del Partito comunista, sono stati arrestati, molti sono stati torturati, alcuni sono diventati pazzi o psicologicamente labili, altri ancora sono letteralmente spariti. La situazione dei diritti umani in Cina è spaventosa. Hai la libertà di guadagnare e spendere, se sei amico di qualche pezzo grosso del partito puoi addirittura essere corrotto, perché tanto non ti colpiscono, a meno che non appartenga alla fazione opposta a quella di Xi Jinping, e quindi c’è una società sfilacciata, con molte tensioni, in cui la dignità delle persone non è rispettata”.
Un altro subcontinente in cui i cristiani sono spesso perseguitati è l’India. Ricordiamo i massacri in Orissa negli anni passati. Com’è ora la situazione?
“In quella grande piazza democratica dell’Asia ci sono sempre stati segnali di insofferenza nei confronti dei cristiani ma mai appoggiati dal governo. Ora, dopo la vittoria del Bharatiya Janata Party e l’avvento di Modi come premier, tanti gruppi nazionalisti fondamentalisti indù si prendono la briga di voler costruire la cosiddetta cultura hindutva e per esempio spingono per abolire la macellazione e la vendita della carne di vacca. Ma è una produzione che interessa centinaia di milioni di persone, musulmani, cristiani e tribali, che vivono con questo lavoro. Quando poi ci sono attacchi verso le chiese, le moschee, le comunità cristiane o musulmane, la polizia non si muove, non cerca i responsabili. C’è anche tutta una serie di rappresaglie verso istituzioni cristiane, suore, preti e laici che quanto più fanno azioni caritative o di emancipazione nel campo educativo, tanto più sono sospettati di conversioni forzate. Addirittura c’è stata una religiosa che stava accompagnando delle ragazze a una scuola tecnica per imparare un mestiere e la polizia l’ha fermata in treno accusandola di questo crimine. C’è un’esaltazione terribile del nazionalismo fondamentalista che però rischia anche di azzoppare l’economia, perché un’India così chiusa al mondo, ad altre culture e religioni, da sempre presenti sul suo territorio, va verso il suicidio”.
Oltre alla Corea del Nord, dove sono ben note le persecuzioni del regime, come stanno i cattolici in Estremo Oriente?
“Senza dubbio la situazione peggiore è quella della Nord Corea dove l’unica religione ammessa è quella della ‘trinità’ Kim: Il-sung, Jong-il e Jong-un. In Corea non si può pregare, la Chiesa è quasi distrutta. Secondo i calcoli, dalle informazioni di nostri corrispondenti, ci saranno alcune centinaia di veri cattolici, anche se il governo ogni settimana nella cattedrale di Pyongyang fa cantare e pregare circa 2000 ‘cristiani’. Ma sembrano più attori pagati che non veri fedeli. Anche perché l’arcivescovo di Seul, fin dai tempi del cardinal Kim, chiedeva alla Nord Corea la possibilità che un prete andasse fino a Pyongyang per celebrare la Messa la domenica e poi tornare indietro ma le autorità non lo hanno mai consentito. Quanto a realtà come Vietnam e Laos, ci sono limitazioni alla libertà enormi, controlli continui, anche se queste Chiese stanno facendo un grande lavoro per lo sviluppo, per l’educazione, sia dei bambini che degli adulti, e anche in campo medico a favore di tanti poveri. Il problema di questi partiti comunisti, e vale anche per quello cinese, è che vogliono essere totalitari nell’essere rispettati, non vogliono avere ‘concorrenti’ per cui non accettano nemmeno questi gesti di servizio da parte della Chiesa perché temono che potrebbe portarle dei vantaggi”.