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La green economy per il rilancio del Paese

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Consulente della Commissione Ambiente del Senato
In Italia nel corso degli anni si è andata rafforzando prepotentemente la relazione che lega ovunque la natura con l’uomo, la sua cultura, con la storia concreta delle famiglie e del loro lavoro. Questa relazione, unitamente allo straordinario patrimonio archeologico, artistico e paesaggistico unico al mondo, già da tempo ci regala economia positiva e benessere, addirittura una qualità di vita unica nel pianeta: ci sarà un motivo se un cinese che diventa ricco, o un indiano o un sudafricano, poi vuole mangiare italiano, vestire italiano, magari chiama i figli con nomi italiani, o arreda una casa con mobili italiani.

In questo momento difficile per l’economia nazionale e globale, difendere e rafforzare il nostro impegno a tutela della nostra straordinaria biodiversità può contribuire ad un più rapido superamento della crisi. Nell’ottica di salvaguardia e sviluppo del patrimonio di biodiversità, nonché nell’impegno della ricerca di nuove tecnologie nel campo delle energie alternative, non si possono non rilevare gli ottimi risultati ottenuti fino ad oggi attraverso l’impiego del concetto di green economy, anche se a volte – questo è bene sottolinearlo – tentando di perseguire a tutti i costi obiettivi di crescita “eco-compatibile”, con un particolare riferimento all’impiego delle fonti rinnovabili, non sempre si è pervenuti al risultato auspicato.

Anzi in molti casi si è sortito esattamente l’effetto contrario: basti pensare allo scempio causato dall’installazione dalle invasive pale eoliche o dagli imponenti “campi fotovoltaici” insediati in alcune delle zone di più elevato pregio ambientale, turistico e paesaggistico, patrimonio inestimabile del nostro Paese. La crescita compatibile e rispettosa delle risorse è doverosa, ma probabilmente in futuro sarà bene riflettere in maniera più approfondita sulle strategie da adottare relativamente ai costi e ai benefici delle opere che si deciderà di realizzare.

A quanto pare iniziano ad essere finalmente abbattute quelle barriere ideologiche e di pregiudizio politico che in passato hanno condizionato una serena valutazione condivisa degli interventi mirati ad una più incisiva attività di salvaguardia dell’ambiente. Approfittando di questa nuova “apertura” il Parlamento si sta costantemente impegnando nell’attenzione verso le politiche per l’Ambiente; al Senato è in corso l’esame di alcuni significativi disegni di legge di riforma della legge quadro sulle aree protette.

Viviamo in un Paese densamente antropizzato (in media, 200 abitanti per chilometro quadrato), i nostri Parchi non sono Yellowstone e a noi è richiesto uno sforzo maggiore per il pieno contemperamento delle primarie esigenze della conservazione con la qualità di vita di chi nei parchi vive.

Una questione fondamentale è quella riguardante l’ambiente marino del Mediterraneo, il mare in mezzo alla terra. La caratteristica geografica di “mare chiuso” con la presenza di ben 25 stati nazionali che si affacciano su di esso, richiede in maniera perentoria un’intesa internazionale a difesa della sua integrità ambientale. L’elevato tasso di presenza inquinante diffusa di idrocarburi quattro volte superiore a quella di qualsiasi altro mare del pianeta così come lo sversamento incontrollato dei residui di centri urbani con milioni di abitanti lo stanno portando al livello del collasso ambientale. Particolarmente sensibile a questo tema l’attività svolta della Commissione Ambiente Senato, che ha da subito avviato un’indagine conoscitiva sulle perforazioni e prospezioni petrolifere nel Mar Mediterraneo per conoscerne nel dettaglio l’esatta incidenza e impatto.

Insomma, crediamo che su questo il tributo che sta dando la Sicilia all’intera Europa, relativamente al dramma dei migranti clandestini, possa diventare un credito importante con quei popoli per avviare assieme politiche condivise per la tutela di questo nostro splendido mare. E Lampedusa è già il centro, il cuore di queste relazioni tra i diversi popoli che vivono qui.

E’ per questo che innanzitutto il nostro Paese, non esente da responsabilità del passato e del presente in materia, non debba aggravare lo stato di sofferenza del Mediterraneo: non si può acconsentire a nuove trivellazioni per la ricerca e lo sfruttamento di idrocarburi nei nostri mari, soprattutto in prossimità di zone, sia marine che costiere, già dichiarate come zone di riserva e di alta protezione ambientale. Ma, ancor di più, è davvero inimmaginabile continuare a non coinvolgere attivamente le popolazioni locali nelle decisioni sulle trivellazioni a mare, soprattutto se proprio le istituzioni varano incentivi nella direzione della green economy e sulla via della sostenibilità e poi contemporaneamente le stesse istituzioni guardino con fastidio, se non con ostilità, all’idea di un coinvolgimento delle comunità locali di fronte a scelte importanti.

Ma il tema è più generale, e pone il Paese davanti ad una scelta. La nostra crisi è anche la conseguenza di anni di mancanza di scelte: oggi sarebbe davvero un paradosso continuare a incentivare la sostenibilità, la green economy, le rinnovabili nel mentre si continua a trivellare i nostri fondali marini alla ricerca di petrolio e gas. Non ci possiamo permettere di rischiare che dentro o accanto le nostre aree protette, i territori a consolidato flusso turistico, i nostri tesori naturalistici, e comunque a ridosso dei nostri ecosistemi marini si minimizzino le attenzioni e le cautele per ragioni di mero profitto, mettendo così a rischio anche il nostro patrimonio di biodiversità, così come è drammaticamente accaduto in altre parti del mondo.

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