La favola delle tasse

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Che l’Italia sia un Paese fortemente ammalato di “tassite” è un dato di fatto. Al punto in cui siamo non servono né esperti né professori per certificarlo Occorre solo una cura. E qui iniziano i guai. Sono anni, diciamo pure decenni, che gli inquilini che si sono alternati a Palazzo Chigi hanno promesso rivoluzioni liberali, epocali abbattimenti delle tasse, rivoluzioni del sistema fiscale. Le rassegne stampa sono piene di queste promesse, mentre le tasche degli italiani sono drammaticamente vuote di euro. Una legge del contrappasso che rischia di mantenere il Paese in frenata, nonostante le possibilità di ripresa.

Nel corso di questi anni l’alternanza perniciosa fra rigide politiche del rigore e logiche espansive basate sull’allargamento del deficit pubblico hanno creato un mix pericoloso. La risultante di questo matrimonio è un’esposizione estera alle stelle e una voragine nei contri pubblici. E davvero possibile ridurre il primo e ricoprire il secondo fronte? La Cgia di Mestre, sfornando l’ennesima preziosa analisi congiunturale, offre un’interessante chiave di lettura. In attesa di conoscere nel dettaglio le modalità di copertura che dovrebbero consentire la rivoluzione copernicana in materia di fisco annunciate dal premier, Matteo Renzi, il centro studi dell’associazione di categoria degli artigiani, con un abile gioco di specchi, si appella al Presidente del Consiglio affinché i ministeri comincino a pagare i propri fornitori secondo gli accordi contrattuali.

“La presidenza del Consiglio dei ministri”, sottolinea Paolo Zabeo della Cgia, “paga con 29 giorni di ritardo rispetto a quanto stabilito da contratto. Nonostante il ritardo sia ragguardevole, il ministero dello Sviluppo Economico e quello dell’Economia e delle Finanze hanno performance addirittura peggiori: il primo paga mediamente con un ritardo di quasi 38 giorni rispetto a quanto stabilito con la controparte, mentre lo sforamento del secondo arriva addirittura a 82 giorni. E’ una cosa inaccettabile”.

Il dato, già di per sé eloquente, rappresenta la miglior chiave di violino per dipanare la sinfonia suonata dal capo del governo, durante l’assemblea del Pd a Milano. Se un debitore non riesce onorare i propri impegni come può assumersi una responsabilità cosi grossa, quale è quella di ridurre il carico fiscale? La contraddizione è evidente. Ed ancor più evidente un altro fatto: questa maggioranza non vuole andare al voto ora. Temendo le urne più di ogni altra cosa ha fatto proprio quello che è stato il miglior cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi: voi fatemi governare e io riduco le tasse, se non ci riesco è perché non mi hanno fatto amministrare il Paese. Se il nuovo che avanza è costretto a ricorrere a schemi vecchi, già usurati dal tempo, il segnale che manda al Paese non è certo dei migliori. O sono già finite le idee, oppure aveva ragione Berlusconi. E se aveva ragione il Cavaliere, significa che ridurre le tasse non è solo impossibile, ma improponibile considerato l’attuale livello del deficit pubblico dell’Italia.

Se non viene erosa questa montagna, se lo Stato non fa una grande cura dimagrante, tutto il resto rischia davvero di essere un pannicello caldo dal forte sapore elettorale. Proviamo allora a fare due conti. Al netto delle posizioni in campo l’annuncio dell’abolizione della Tasi sulla prima casa per l’anno prossimo, per i 25,7 milioni di proprietari – secondo i dati elaboratori dalla Uil – si tradurrebbe in un risparmio medio di 180 euro annui che salgono a 230 euro medi se si abita nelle città capoluogo di provincia. Non è tanto e non è poco. Però è un fatto. Sempre che questo non finisca con l’incidere pesantemente sui bilanci delle amministrazioni locali. Saranno loro a farsi carico di tutto? Il rischio c’è, è ovvio. Come esiste un altro serio problema. Prima di parlare di abbassare altre tasse, il governo dovrebbe preoccuparsi di trovare, subito, le coperture per 12,6 miliardi per l’anno prossimo al fine di evitare gli aumenti dell’Iva e delle accise che peserebbero molto e di più dell’abolizione della Tasi, soprattutto per le famiglie a basso reddito. Insomma, promettere va bene, ma va evitato il gioco delle tre carte. Togliere le tasse è una bella favola, ma deve trasformarsi in realtà. L’ennesima presa in giro il Paese non potrebbe permettersela.

 

Macario Tinti: