Più si combatte e più si rafforza, più si cerca di proibirlo e più si diffonde: è il cristianesimo nella Cina comunista dove contro ogni aspettativa il numero di fedeli è in aumento nonostante le difficoltà con cui devono confrontarsi ogni giorno.
Venti milioni i cattolici e circa 160 i protestanti, cifre approssimative ma significative che rendono un’idea di come la fede trovi terreno fertile là dove la società impone controlli che limitano la libertà religiosa. Negli ultimi tempi, tuttavia, qualcosa è cambiato, anche grazie alla buona volontà mostrata dal presidente Xi Jinping nel suo dialogo a distanza con Papa Francesco. Basti pensare che a inizio agosto è stato nominato un vescovo riconosciuto dalla Santa Sede, padre Zhang Yinlin. Una svolta nell’ambito dei rapporti bilaterali che tuttavia non cancella quanto avviene in alcune province, in cui la mano di Pechino si fa sentire meno. Come nello Zhejiang, dove l’arresto del pastore protestante Bao Guohua, di sua moglie e di 5 fedeli della Holy Love Christian Church di Jinhua ha confermato la linea dura contro i cristiani.
Su di loro pesa l’accusa di essersi opposti alla rimozione della croce dal tetto della chiesa ordinata dalle autorità. Si tratta di un episodio emblematico che spiega quanto sta accadendo nella città dall’inizio di aprile senza che il fatto attiri troppo l’attenzione dei media.
Uno solo l’obiettivo: rimuovere la radice cristiana dal territorio. Così nell’arco di 4 mesi sono circa 360 le croci distrutte nella provincia di Zhejiang, che entro il 2020 dovrebbe trasformarsi in una delle più grandi aree di sviluppo economico. Per questo motivo è stata lanciata la campagna, “Tre rettifiche e una demolizione” volta ad abbellire la regione con l’eliminazione delle strutture considerate pericolose ed illegali, tra le quali figurano anche le parrocchie della zona.
L’iniziativa è di Xia Baolong, segretario del Partito del Zhejiang, il quale vedendo una croce svettare sulla cima di una chiesa, l’ha definita “troppo evidente e offensiva”. Da qui nasce la decisione di eliminare completamente il simbolo cristiano dai luoghi di culto. I fedeli non sono di certo stati a guardare e hanno dato vita sui social ad una proposta che ha riscosso molto successo: chi aderiva si sarebbe costruito da solo la propria croce da poter portare ovunque, uno schiaffo a chi pensava di soffocare la fede con la burocrazia.
Così la Cina procede su due binari, se da una parte proseguono le forme di restrizione nei confronti delle minoranze religiose, in particolare i cristiani, dall’altra il leader di Pechino lancia segnali di riavvicinamento al Vaticano sulla questione della nomina dei vescovi. Fino ad oggi lo Stato aveva infatti affidato all’Associazione Patriottica dei cattolici cinesi il diritto di scegliersi i propri pastori, evitando di sottomettersi alla Chiesa di Roma e riconoscendo al Papa solo una “leadership spirituale”. Proprio per questo motivo le due realtà non avevano più avuto relazioni diplomatiche. Nonostante l’ambiguità del caso, è un dato certo che la persecuzione si è rivelata un vero e proprio boomerang in quanto non ha fatto che fortificare la fede. I cinesi convertiti hanno trovato nella relazione con Cristo una speranza più grande della repressione, ed è proprio questo che fa più paura alla dittatura.