Spesso si ricorda quanto, come è stato detto dal Fondo Monetario Internazionale affrontando la situazione italiana, la corruzione «danneggia la crescita economica attraverso diversi canali, perché scoraggia gli investimenti, riduce la qualità dei servizi e abbassa le entrate fiscali». Un punto di vista corretto, ma molto parziale, perché la corruzione, intesa come fenomeno sociale, colpisce in modo ben più grave il tessuto di una società, minando alla base la fiducia che i cittadini devono avere nei confronti del potere pubblico. E ciò comporta che la corruzione percepita dal singolo cittadino, ma anche dagli osservatori internazionali, sia ancor più alta di quella reale. Questo distorce i comportamenti dei privati che, avvicinandosi alla pubblica amministrazione, guardano con sospetto ciò che li attenderà. Di tale situazione fanno le spese i pubblici funzionari onesti che, in modo paradossale, vengono apprezzati soltanto per aver fatto correttamente il proprio lavoro.
Le cause di tale situazione sono le più varie e gli episodi che si registrano vedono un Paese con situazioni a macchia di leopardo, dove il malcostume si nasconde dietro un formale rispetto di norme amministrative spesso troppo complesse e frutto di stratificazioni. Questo è il primo aspetto da esaminare, perché una burocrazia complessa, ove le competenze si sovrappongono e le autorità pubbliche formalmente condividono, ma sostanzialmente possono scaricare su altri le proprie responsabilità, permette di occultare comportamenti illeciti o anche solo scorretti. Il problema delle normative italiane è ben conosciuto: troppe leggi che si susseguono sugli stessi interessi in modo tale che la disciplina di riferimento sia confusa. E per uscire da questo in taluni settori della Pubblica Amministrazione ogni singolo Ufficio crea prassi, certo nelle intenzioni tese a dar chiarezza ai comportamenti richiesti, ma che si risolvono in una babele di regole che si differenziano sol perché una richiesta o una pratica capita davanti ad un Ufficio o a un altro.
E in questo il funzionario infedele si inserisce, essendo in grado di bloccare, se non di condizionare, l’iter procedimentale. Per questo la Legge ha istituito l’Autorità Nazionale Anticorruzione, che ha visto via via crescere le competenze e incisività, prevedendosi anzitutto un Presidente nominato tra persone di notoria indipendenza che hanno avuto esperienza in materia di contrasto alla corruzione e persecuzione degli illeciti nella Pubblica Amministrazione ed inoltre la possibilità che essa si avvalga della Guardia di Finanza e dell’Ispettorato per la Funzione Pubblica per svolgere indagini, accertamenti e relazioni. A un livello inferiore all’interno di ciascuna amministrazione è stato prevista la figura del Responsabile della prevenzione della corruzione, scelto tra i dirigenti che abbiano adeguata stabilità e che sia titolare di ufficio, privo di condanne e di provvedimenti disciplinari, che abbia dato dimostrazione nel tempo di comportamento integerrimo. La previsione che soltanto un soggetto all’interno dell’Ufficio possa, sia pur a rotazione, occupare tale posizione, rafforza l’idea che il prescelto abbia piena responsabilità del proprio settore, per il quale deve proporre attuare e controllare gli esiti del Piano della prevenzione.
Tali nuove norme colgono un ulteriore segno del problema, quello dei controlli immediati e costanti sull’operato del singolo funzionario da parte di soggetto a lui gerarchicamente sovraordinato che ne controlli l’attività e ne risponda direttamente, coordinando più settori; la atomizzazione delle competenze, il dover fare riferimento ad una pluralità di Uffici e di funzionari, il non poter avere quel che viene definito uno “sportello unico” a cui rivolgersi e al cui responsabile poter chiedere conto è segno di un sistema che non sa rinnovarsi e che porta la collettività di riferimento ad usare il termine “burocrazia” con connotazione negativa e non riferimento ad una organizzazione razionale e credibile.
Certamente il problema non si risolve soltanto adottando nuovi sistemi di gestione e controllo, essendo necessaria un accrescimento della cultura della legalità che nasca dalla famiglia e dalla scuola nella quale si formano i cittadini del futuro. Come si vede il nodo della corruzione (e in questo termine ricomprendiamo in modo atecnico tutti gli abusi compiuti da pubblici funzionari sui singoli che a loro fanno riferimento) non si scioglie in sede di indagine o processo penale – che pur risente delle farraginosità del sistema giudiziario-, ma necessita di un sistema amministrativo strutturato e credibile, che restituisca prima di tutto ai cittadini la fiducia in chi, dai vertici alla base, li governa, lasciando che la Magistratura Penale e le Forze dell’Ordine reprimano solo fatti realmente gravi e patologici per la Società.
Paolo Auriemma
Pubblico ministero presso la Procura della Repubblica di Roma