Roma, zona Tiburtina. Un giovane entra in un portone e dopo una manciata di minuti esce con un sacchetto di cannabis tra le mani. Si potrebbe pensare che sia andato a rifornirsi da qualche spacciatore, magari all’interno di un centro sociale o di uno stabile occupato. Ma non è così. Il luogo dove ha acquistato la sostanza è un negozio regolare.
Dal maggio scorso, infatti, acquistare cannabis in Italia non è più tabù. Ecco allora che nella capitale ha aperto una filiale della neonata start up che vende quella che viene definita “canapa light”, in pratica una marijuana con un principio attivo più basso. Quest’ultimo aspetto renderebbe la sostanza legale, perché il contenuto di thc (o delta-9-tetraidrocannabinolo) sarebbe inferiore allo 0,6 per cento, il limite consentito dalla legge.
Stando a quanto riportano alcuni organi d’informazione, a due mesi dal lancio la “cannabis light” è già diventata un fenomeno di mercato. Ricalcando un business consolidato in altri Paesi come la Svizzera, la start up sta facendo fiorire non solo le coltivazioni di erba, ma anche i propri guadagni. E sta inoltre risollevando il dibattito sulla legalizzazione, proprio mentre il progetto di rendere la cannabis legale è stato momentaneamente affossato alla Camera.
Di legalizzazione della droga e di “cannabis light” In Terris ne ha parlato con Massimo Barra. Fondatore nel 1976 della comunità di recupero Villa Maraini ed esponente di spicco della Croce Rossa Italiana e Internazionale, è stato tra i primi medici in Italia a prendersi cura dei tossicodipendenti.
Dott. Barra, la inferiore presenza di thc rende davvero innocuo il consumo di canapa?
Mi sembra una sottigliezza tecnica, una questione da “piccolo chimico”. Bisogna piuttosto chiedersi se la canapa con il thc inferiore produca o meno un effetto su chi la consuma. Se viene consumata, debbo presumere che abbia un effetto psicoattivo.
Proprio questo il punto. I fautori della “canapa light” sostengono che non produca effetti psicoattivi…
E allora quale sarebbe l’interesse del consumatore?
Si parla di effetti rilassanti e ansiolitici…
Fino a prova contraria, questi effetti traggono sempre origine dal sistema nervoso, pertanto restiamo nel campo delle sostanze stupefacenti, che alterano lo stato di coscienza. Lo ribadisco in romano, sperando di essere ancora più chiaro: se la gente la consuma, è perché je piace. E se je piace, è perché c’è l’effetto psicoattivo, qualunque esso sia: rilassante, immunizzante, ansiolitico… Possiamo chiamarla “light” o in qualunque altro modo, sempre di droga si tratta.
Per altro la presenza di thc aumenta quando l’erba viene riscaldata e dunque quando la si fuma?
Certo, la combustione modifica la potenza del principio attivo. Ma va detto inoltre che nella canapa non c’è soltanto il thc, ci sono decine di altre sostanze, e che per avere un quadro chimico completo è necessario considerare la composizione in modo preciso. Io ritengo comunque che questi siano dettagli. Se la cannabis, “light” o meno che sia, non rendesse “fatti”, non verrebbe consumata.
L’azienda che la produce assicura che acquistare “cannabis light” non sia illegale. È davvero così?
Anche il legislatore può giocare al “piccolo chimico”, ma il punto principale non cambia: la sostanza fa male, a prescindere che sia legale o illegale. Disquisire intorno al limite dello 0,6 per cento di thc è irrilevante. È estremamente pericoloso tutto ciò che attenta al sistema nervoso centrale, che è la parte più raffinata e differenziata del corpo, nonché la più delicata.
Uno dei fondatori di una neonata start up della canapa ha dichiarato a La Repubblica che l’azienda “più che un obiettivo commerciale, ha una missione sociale: mostriamo come potrebbe essere la legalizzazione”. C’è dunque un tentativo di normalizzare il consumo della droga?
È evidente! Ci sono interessi economici dietro quella che definirei una “infiorettatura” della droga per renderla più appetibile. Rimbecillire la gente incoraggiandola a consumare droga non è una forma di progresso, ma di regresso. Guardi, a Villa Maraini ci confrontiamo quotidianamente con centinaia di persone che sono vittime del consumo di droga. Posso dirle che la cannabis è un prodotto rivolto a una platea molto estesa di giovani, e che da questa platea uscirà il maggior numero dei futuri tossicomani di domani.
A proposito di legalizzazione, due argomenti di chi è favorevole sono le seguenti: porterebbe ricavi all’erario e toglierebbe una fetta di mercato alla criminalità organizzata…
Da medico, mi interessa poco se a lucrarci siano la mafia o l’erario. Ciò di cui mi occupo sono gli effetti dannosi sulla salute dei singoli consumatori. E comunque, mi lasci dire che per lo Stato si tratterebbe del guadagno di Maria calzetta.
In che senso?
Quando si vendono le droghe, la remissione è certa! Se si diffonde la droga, aumenta il numero di dipendenti e di tossicomani. E se essi aumentano, crescono le spese per lo Stato. Non ostacolare la diffusione di qualcosa di dannoso per la salute dei cittadini porta inevitabilmente a un risultato finale negativo.
Prima ha accennato agli interessi economici. Come spiega il fatto che i maggiori sponsor della legalizzazione della cannabis siano magnati della finanza, su tutti George Soros?
Non me lo spiego, forse perché non me lo voglio spiegare. Ciò che so è che Soros finanzia pure programmi di “riduzione dei danni” delle sostanze stupefacenti. Che tipo di interessi ci siano dietro certe manovre non mi è dato saperlo. Quello che penso è che i grandi flussi di denaro siano tutti di dubbia provenienza.