Una ragazzina si asciuga le lacrime, mentre un suo compagno inizia a chiedere scusa agli altriĀ poi scatta un abbraccio e tanti sorrisi (e non sono emoticon!), con un applauso. Questo ĆØ accaduto in una classe di venti ragazzini di terza media.
Non si ĆØ trattato di un episodio di cyberbullismo ovvero di invio di sms, messaggi in chat, immagini offensivi o non rispettosi della riservatezza altrui. NĆ© si ĆØ trattato di sexting cioĆØ della diffusione di testi o immagini sessualmente provocanti o pornografiche di se stessi o di persone conosciute. Ć stato semplicemente un esempio di life skills (attitudini positive per la vita), di comunicazione non verbale che fuori da quella virtuale ha ricucito la relazione in un gruppo classe in cui stava per scatenarsi lāennesimo ānon mi piaciā collettivo.
E di fronte alle migliaia di relazioni degli internauti – cioĆØ quelle che nascono velocissime in rete con un clic e altrettanto velocemente possono essere distrutte – ĆØ certamente un successo in termini di prevenzione. La rete ĆØ piena di trappole: instagram, facebook e ask vengono spesso utilizzati per veicolare rabbia, narcisismo o vuoto, col risultato che molti ragazzi di 12 e 13 anni diventano bulli online o, peggio, rischiano di essere adescati da adulti senza scrupoli.Ā Quindi meglio dialogare tra pari, raccontare il proprio mondo digitale confrontandosi con adulti significativi e quindi prevenire!
Il prof. Cristian Simoni ĆØ il Referente per il cyberbullismo nellāIstituto comprensivo di Portomaggiore in collaborazione con il Cts (Centro territoriale di supporto del Ministero dellāIstruzione) di Ferrara che ha promosso nel mese di marzo il Progetto āIn rete non in trappolaā con gli operatori dellāAssociazione ComunitĆ Papa Giovanni XXIII.
Quali motivi hanno spinto la Scuola media ad aderire al progetto? Davvero giĆ a dodici, tredici anni si puĆ² diventare vittime online dei propri coetanei? OĀ peggio ancora di adulti adescatori?
“Dopo diversi fatti di cronaca, come insegnanti abbiamo sentito lāesigenza di essere maggiormente formati su questi rischi della rete. A livello regionale abbiamo seguito un percorso di approfondimento con esperti avvocati, psicologi, educatori che ci hanno confermato che il fenomeno va affrontato proprio nella fascia dāetĆ compresa tra i 12 e i 16 anni. Addirittura si ĆØ parlato di iniziare interventi giĆ nelle elementariā¦ CiĆ² che mette a rischio i ragazzi ĆØ soprattutto la cultura, il narcisismo veicolato dai mass media, lāidea che si deve vincere sullāaltro e non incontrarlo. Sulla questione culturale occorre lavorare di piĆ¹. Avvertiamo anche un grande problema educativo. Le famiglie vivono un ritiro dalla responsabilitĆ educativa, dalle regole sullāuso di internetā¦ Gli esperti ci hanno detto chiaramente che gli interventi educativi da soli non hanno effetti sufficienti se non si coinvolgono tutte le agenzie educative, se non cāĆØ quindi un intervento globale che richiede una forte coesione tra tutti”.
Quanto tempo passano “collegati” i preadolescenti di oggi? La famiglia e la scuola hanno ancora spazio e strumenti educativi per aiutarli nel buon uso della rete?
“Spesso ponendo la domanda ai ragazzi osserviamo che la media ĆØ alta. CāĆØ chi li usa due ore, chi perĀ lāintero pomeriggio oĀ la sera dopo cena. Certamente non sappiamo quanto sono aderenti al vero queste affermazioni perĆ² secondo me in tutti i modi 4 ā 5 ore al giorno le spendono online. E il tempo dedicato allo studio o agli amici ĆØ decisamente ridotto. Certamente la famiglia e la scuola possono giĆ intervenire e aiutare i ragazzi a dire no allāuso eccessivo. Spesso i ragazzi ci riportano episodi e racconti infelici di cui sono a conoscenza o in cui si sono imbattuti. Tuttavia ĆØ molto difficile coinvolgere i genitori anche quando la scuola tenta di comunicare con loro, proponendo percorsi formativi con gli esperti di cyberbullismo e delle altre ‘trappole’ della rete”.
Cosa le raccontano del mondo digitale? Quali bisogni cercano di soddisfare gli studenti in rete oggi? Come sono cambiate le loro relazioni?
“I racconti che hanno fatto fino ad ora vanno dagli insulti, al postare foto e immagini con grande inconsapevolezza del fatto che quello che postano ormai non ĆØ piĆ¹ loro. Ć chiaro che questi mezzi vanno incontro ad un bisogno umano di comunicare tuttavia abbiamo dei bisogni indotti, dei falsi bisogni di cui si potrebbe fare a meno. AlleĀ volte educare vuol dire anche ‘togliere’ cioĆØ significa anche far capire che tanti bisogni sono effimeri. Per esempio il bisogno di apparire ĆØ un bisogno indotto invece quello di comunicare ĆØ ineliminabile, antropologico. Il fatto di esserci, di contare viene surrogato spesso da questa possibilitĆ che rende tutto facile e veloce perchĆ© basta un click e sei giĆ ‘on stage’. Riguardo alle relazioni vissute dalle nuove generazioni, questa ĆØ la parte piĆ¹ oscura. Bisognerebbe fare uno studio delle relazioni che stanno intrattenendo in rete. CāĆØ il problema dellāuso della parola, di cui si abusa e che ĆØ usata per andare contro lāaltro. Lāuso della chiacchiera, della maldicenza, del fare chiasso online contro qualcuno. Si fa chiasso attraverso insulti, offese, parolacce. Si fa chiasso anche attraverso fotografie non adeguate o video. Tutto questo contribuisce a rendere le relazioni non autentiche e a non permetter piĆ¹ di capire cosa vuole dire la parola amicizia. Poi cāĆØ questo tremendo metro di giudizio della realtĆ col ‘mi piace’ o ‘non mi piace’. Il ‘mi piace’ che in genere si utilizza per qualcosa di straordinario, qualcosa che rompe lāordinarietĆ . Si perde cosƬ del tutto la stima della veritĆ delle cose, delle cose che si ottengono con fatica, la stima dellāimpegno, dello studio. Questa dinamica del ‘mi piace’ o ‘non mi piace’ sta creando notevoli distorsione nella mente dei ragazzi. Qui ĆØ necessario un massiccio intervento educativo, occorre far capire la multivocitĆ dellāesistenza, e far vedere che il nostro parametro di giudizio deve essere altro, deve basarsi sulla qualitĆ delle relazioni, sullāamore, sulla veritĆ , sulla responsabilitĆ . Questo ĆØ lāelemento che mi preoccupa di piĆ¹ perchĆ© riguarda i giudizi che i ragazzi si formano sulla vita e sugli altri”.
Dopo il progetto dellāAssociazione Papa Giovanni XXIII, c’ĆØ stato qualche episodio di cambiamento nel modo di relazionarsi tra compagni o addirittura qualcuno ha avuto il coraggio di segnalare chi cercava di “distruggerlo”?
“Qualche soddisfazione lāabbiamo toccata con mano. Educare ĆØ un atto di speranza e in qualche maniera viene ripagata e in genere i segni si vedono a lungo termine. Comunque te ne accorgi quando i ragazzi sono colpiti dagli operatori che gli parlano: avvertono che si tratta di storie vissute e iniziano a farsi tante domande che dimostrano che qualcosa dentro di loro sta cambiando. Soprattutto molti hanno davvero colto che devono rivolgersi ad adulti significativi e non fermarsi al ‘fai da te’. Hanno finalmente capito che il confronto con genitori, insegnanti, educatori ĆØ il primo passo per il cambiamento e anche per la consolazione quando si ĆØ stati offesi. CāĆØ stato in particolare un ragazzo che, dopo tre giorni, ha manifestato il suo lavorƬo interno, chiedendo scusa pubblicamente davanti alla classe ad un suo compagno. Ć stato un momento fortemente emotivo: vuol dire che il nostro intervento anche a breve termine qualcosa scuote negli animi”.