Proviamo a immaginare una vita in cui ci alziamo la mattina, usciamo di casa, ma per la società non esistiamo. Ci vedono, ci toccano, ma non possiamo qualificarci, niente documenti, né andare a scuola, essere visitati da un medico, avere un lavoro, aprire un conto in banca, comprare una casa e persino sposarsi. Fantascienza? No, sul pianeta ce ne sono circa 10 milioni di cui – guarda caso – non si parla. Sono gli apolidi, ossia quella condizione di un individuo che nessuno Stato considera come suo cittadino e al quale, di conseguenza, non viene riconosciuto il diritto fondamentale alla nazionalità né assicurato il godimento dei diritti ad essa correlati.
Fantasmi
“Invisibile è il termine più comunemente usato per descrivere cosa si prova a vivere senza nazionalità. Per i bambini e i giovani che vivono in situazioni di apolidia – racconta Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per rifugiati – essere ‘invisibili’ significa dover rinunciare a un’istruzione, essere emarginati nel parco giochi, non poter ricevere cure mediche, essere privi di opportunità di lavoro e non poter far sentire la propria voce”.
Quanti sono
Secondo le stime dell’Unhcr gli apolidi nel mondo – come detto – sarebbero circa 10 milioni. Tuttavia, sono solo 78 i paesi che hanno comunicato all’Unhcr i dati che permettono di contare 3,7 milioni di persone apolidi. Al momento la top ten rispetto a situazioni di apolidia vede Costa d’Avorio, Repubblica Domenicana, Iraq, Kuwait, Lettonia, Myanmar, Russia, Siria, Thailandia, Zimbabwe. (Global Trends 2015)
La storia
Victoria è una di queste persone senza passato né futuro. Nata nel 1989 a Tikhoretsk, nella vecchia Urss; lì ha vissuto fino al 1991, quando lei e la sua famiglia si trasferirono nel Kazakistan. E’ senza stato civile da sempre. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, i suoi genitori non sono riusciti a garantirle la cittadinanza. La madre ha ottenuto un passaporto kazako, ma non è stato avviato alcun procedimento per i suoi figli. Peraltro, in Kazakistan per i bambini sotto i 16 anni non era previsto passaporto. Nel 2002, la sua famiglia si è trasferita in Francia, dove tuttora vive e “prova” a studiare.
Senza patria
Sul suo permesso di soggiorno ha dichiarato “nazionalità: non definita”. In Francia ci è finita perché suo bisnonno, fuggito da un campo di concentramento in Germania, approdò proprio in Francia dove combatté all’interno della Legione Straniera.
Quando nel 2007 Victoria ha iniziato la procedura burocratica in Francia, l’ambasciata kazaka la informò che non era considerata cittadina kazaka, perché non era mai stata registrata come tale. L’ambasciata russa, d’altra parte, rispose la stessa cosa, considerato che non era una cittadina russa perché lei non aveva rispettato la scadenza per fare domanda.
Per lungo tempo la sua condizione è stata “nazionalità: non definita“. Non francese, non russa, non kazaka. E’ stata riconosciuta come apolide dall’Ufficio francese per la protezione dei rifugiati solo un anno fa. La sua motivazione principale per avere una nazionalità è “di appartenere ad un Paese […] quando non appartieni a nessun Paese non ci si può sentire completi […] ci si sente rifiutati dalla società. Sono stanca di spiegare la mia storia ad ogni persona che incontro e alle autorità di volta in volta, la storia di qualcuno ‘senza nazionalità”‘.
Le cause
Ma come si diventa apolidi? La condizione di apolidia è indipendente dalla volontà dell’individuo, e può essere determinata principalmente da alcune circostanze ben precise: se si è figli di apolidi o se si è impossibilitati a ereditare la cittadinanza dei genitori; se si è parte di un gruppo sociale cui è negata la cittadinanza sulla base di una discriminazione; se si è profughi a seguito di guerre o occupazioni militari; per motivi burocratici, se lo Stato di cui si era cittadini si è dissolto e ha dato vita a nuove entità nazionali (ex Urss, ex Jugoslavia…); per conflitti nella legislazione tra Stati.