Proprio mentre la campagna elettorale delle elezioni regionali entra nel vivo, l’agenzia di rating Standard&Poor’s ricorda che il pil italiano nel 2015 crescerà solo dello 0,4%. Nonostante il Qe della Bce, il minibarile ed il minidollaro l’economia italiana resta incatenata a segnalare che sono soprattutto le riforme endogene e non gli effetti esterni a creare lo sviluppo economico.
Una partita nella quale c’entrano molto le imposte e la pressione fiscale complessiva. Matteo Renzi, che vincerà bene, nonostante tutte le resistenze dei postcomunisti del Pd, le elezioni regionali, fatta eccezione per il Veneto, vuole ridurre le tasse. Lo ha già fatto con gli 80 euro e con l’eliminazione parziale dell’Irap che, però, non bastano perché servirebbe una chiara discontinuità nella politica fiscale. Il problema, poi, è che le tasse che lui taglia al centro rispuntano come funghi in periferia azzerando, nei fatti, gli effetti sulle aspettative di imprese e consumatori.
E così il pil (prodotto interno lordo) non si muove. Il caso delle regioni è, da questa prospettiva, emblematico. Alcune di quelle con un forte disavanzo sanitario ed un elevato stock di debito da rimborsare hanno portato al massimo l’addizionale Irpef nel 2015. Il business case di riferimento è il Lazio, la regione con il più elevato stock di debito sanitario. Per compensare i tagli decisi dalla legge di stabilità l’addizionale Irpef è stata aumentata al 3,33% (ad oggi nessuna esenzione è ancora in vigore per i redditi minori) e si aggiunge a quella Irap: nel Lazio – tanto per capirci – le imprese pagano il 4,82% contro il 3,9% nazionale, quindi il carico fiscale ai fini Irap è maggiorato del 25%.