Sandali ai piedi, un sari bianco orlato da un bordo azzurro e il passo deciso di chi ha urgenza di raggiungere una persona. Si trovano nelle strade della grandi città, da Roma a New York, da New Delhi a Parigi, sono i missionari della Carità, donne e uomini che sull’esempio di Madre Teresa di Calcutta si affrettano ad incontrare gli ultimi, il loro appuntamento quotidiano è con i più bisognosi, i dimenticati delle grande metropoli, gli immigrati che non hanno trovato accoglienza nella società e con chi invece, in seguito ad un fallimento personale ha visto la sua vita sgretolarsi fino all’impoverimento totale.
“Mi ha sconvolto l’esperienza con le suore e i frati, qualcosa che mi ha profondamente incuriosito. Vivevo con loro la semplicità della preghiera, della comunità e del servizio ai poveri e mi sono chiesto: Come fanno ad essere così felici senza avere nulla? Qual è il loro segreto?”. Padre Peter, nato in Slovacchia e oggi missionario della carità a Roma, a 25 anni si è lasciato interrogare dalla felicità dei poveri e di quei consacrati che pur non avendo nulla erano contenti. Poco a poco anche lui, sorretto da questa testimonianza continua, ha deciso di lasciare tutto per donarsi completamente ai più bisognosi.
“La malattia più terribile oggi non è la lebbra o la tubercolosi, ma piuttosto il sentirsi non voluto, trascurato e abbandonato da tutti” diceva Madre Teresa interpretando la sofferenza dei poveri che lei amava tanto. “Il nostro servizio- continua il sacerdote – è complementare a quello delle suore, il carisma è lo stesso, nasce dalle parole di Gesù sulla croce quando dice ‘Ho sete’. E’ un grido di amore, di un Dio che ha sete dell’uomo. Per questo noi andiamo dai poveri. per annunciare loro la Buona Notizia che Dio li ama così come sono”. Uno schiaffo a quella mentalità perbenista tanto diffusa secondo la quale è necessario salvare queste persone solo dalla precarietà materiale senza preoccuparsi della più importante esigenza di scoprirsi “desiderati e amati”.
La sua voce racconta molto più delle sue parole, si sente la tenerezza del padre che ogni giorno ritrova il figlio perduto e allo stesso tempo si respira quella sana inquietudine di chi sa che sono ancora tante le persone da raggiungere. L’urgenza oggi, nel secolo della scienza e della tecnologia, è ancora quella di portare qualcosa da mangiare ai tanti “miserabili” che affollano le strade e permettere loro di sentirsi figli amati. “Il nostro servizio consiste nell’apostolato, cioè andare noi a cercare i poveri perché non è così semplice che loro vengano da noi, non è scontato”. Ogni giorno suore e sacerdoti della congregazione offrono loro del cibo, medicinali di prima necessità, abiti che possano proteggerli dal freddo nei mesi più rigidi e la possibilità di lavarsi. Non solo, qualora ci fossero casi particolari, organizzano visite mediche e quanto serve per curarli. Un’opera a 360 gradi che comprende un percorso di formazione cristiana attraverso catechesi e preghiera.
“Mi ha colpito molto il fatto che un giorno nella Capitale, la Roma cristiana, a pochi metri da San Pietro ho visto un uomo portare a spasso il suo cane che era vestito, ben nutrito. Mi ha sconvolto che si possa essere più preoccupati di curare il proprio barboncino rispetto a un povero che è lì a pochi metri”.
Nella loro ormai solida esperienza con i “miserabili” del terzo millennio, queste persone non smettono di lasciarsi stupire dall’incontro quotidiano con gli ultimi: “Quello che continua a meravigliarmi sempre è la potenzialità che hanno di essere amati, non hanno maschere perché la loro povertà è pubblica e questo gli permette di essere più aperti a ricevere un annuncio di amore. Per noi è una ricchezza che sempre ci edifica, siamo noi che dobbiamo imparare da loro”.
Negli anni di servizio con i missionari Peter ha avuto la possibilità di conoscere Madre Teresa quando si trovava in Messico per un tempo di formazione. E’ qui che la sua vita ancora una volta si è lasciata scalfire da un incontro. “Eravamo nella strada, tra la folla e le macchine ma il suo sguardo per un momento ha fatto fermare tutto quello che c’era intorno, per alcuni secondi non ho più sentito nulla, come se esistessi solo io. L’amore di Dio è così: è unico”. Ed è questo l’annuncio più importante che la congregazione ancora oggi riesce a portare nelle zone di missione, nei sobborghi, nelle case e nelle strade, negli ospedali e nelle carceri, un’esperienza di come la carità possa liberare le catene degli oppressi restituendo la dignità a chi l’ha persa.