“La Chiesa è Chiesa se è Chiesa di martiri“, aveva detto Papa Francesco ricordando il sangue versato da tanti cristiani brutalmente uccisi in diverse parti del mondo: Birmania, Repubblica Centroafricana, Cina, Eritrea, Iran, Nigeria, Corea del Nord. Sono tanti i Paesi in cui la libertà religiosa è messa a dura prova. Ma nonostante i tanti limiti i cristiani continuano a professare la fede in Gesù Cristo, testimoniandola fino all’estremo sacrificio. E’ quanto accaduto in Pakistan, dove Indaryas Ghulam, un cristiano di 38 anni, è morto perché ha rifiutato di abiurare.
L’arresto
Come ha riportato il sito AsiaNews, il decesso dell’uomo è avvenuto il 13 agosto, alla vigilia delle celebrazioni per i 70 anni dell’indipendenza del Pakistan, in circostanze misteriose. Indaryas era tra i 42 cristiani arrestati con l’accusa di aver linciato due musulmani, ritenuti responsabili dell’attacco terroristico, messo in atto dai talebani, contro due chiese di Youhanabad, un quartiere di Lahore. In quell’attentato, avvenuto il 15 marzo 2015, morirono 19 persone, quasi un centinaio furono i feriti. Una volta arrestato, l’uomo venne avvicinato dal procuratore Syed Anees Shah, il quale tentò di corromperlo promettendo a Indaryas, e ad alti detenuti, la scarcerazione ad un’unica condizione: rinnegare Cristo.
Una morte misteriosa
L’uomo avrebbe potuto salvarsi e tornare in libertà. Ma non ha voluto rinunciare alla sua fede. E così è stato condannato a morte per impiccagione con l’accusa di aver picchiato due musulmani, anche se si è sempre dichiarato innocente. La British Pakistani Christian Association (Bpca), nei giorni scorsi ha dato l’annuncio della morte dell’uomo. Dal carcere dove era rinchiuso hanno fatto sapere che il decesso è da attribuire alla critiche condizioni di salute del detenuto, malato di tubercolosi. Una versione in netta contrapposizione con quella della moglie, Shabana, e della figlia Shumir, che hanno potuto vedere il corpo – ha scritto AsiaNews -. Indaryas presentava bruciature e tagli ovunque, segni evidenti di torture e sevizie. Non solo. Le donne hanno denunciato che, benché l’uomo stesse molto male, non ha mai ricevuto cure mediche adeguate alla sua condizione.
Indaryas, martire cristiano
La notizia della morte ha scosso l’intera comunità cristiana del Pakistan, che si è mobilitata scendendo nelle strade e riempiendo le piazze del Paese per protestare contro l’assassinio del trentottenne. “Indaryas Ghulam è un martire cristiano, il cui sacrificio deve ricordare a tutti noi il bisogno di lottare per la giustizia – ha detto Wilson Chowdhry, presidente della Bpca -. Nonostante fosse innocente e le atroci sofferenze patite, egli ha scelto la morte piuttosto che la libertà offerta in cambio della conversione all’Islam”. Poi ha aggiunto: “Il suo esempio coraggioso e quello di tanti altri uomini innocenti, ci spinge ad opporci alla tirannia degli islamisti in Pakistan e a sollevare l’attenzione su come vive la minoranza cristiana nel Paese”. Parole a cui hanno fatto eco quelle degli attivisti scesi in piazza, secondo cui “è difficile gioire dell’indipendenza, dal momento che essa ha creato una nazione con doppi standard in politica, davanti alla legge e nella vita di tutti i giorni nella quale i cristiani sono cittadini di seconda classe“. Indaryas è solo l’ultimo cristiano a morire per le torture subite in carcere dalla polizia. Dal 2009 al 2016 nelle prigioni pakistane sono stati uccisi: Robert Danish, Qamar David, Zubair Rashid e Liaquat Masih.
Sempre meno libertà religiosa
La notizia del martire pakistano arriva pochi giorni prima della diffusione del rapporto annuale della Commissione per la libertà religiosa del Dipartimento di Stato americano (Uscirf), il primo dell’era Trump. Nelle 243 pagine di testo, la Commissione ha denunciato una sempre maggiore diffusione e intensità delle violazioni dell’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei diritti umani in tutti i Paesi del mondo. L’Uscirf ha registrato numerose restrizioni, truccate da ordinamenti burocratici, che limitano la costruzione dei luoghi di culto e la libertà di culto, espressione e opinione. Tra queste spiccano le leggi sulla blasfemia usate dai governi come strumento per limitare la libertà religiosa, dietro la presunta necessità di proteggere le religioni dalla diffamazione.
Cristiani oppressi e vessati
Tra tutte le religioni, quella cristiana risulta essere, oggi, la più perseguitata. A dimostrarlo il report dell’organizzazione internazionale “Porte Aperte“, pubblicato nelle scorse settimane e intitolato “Understanding the recent movements of Christians leaving Syria and Iraq“. Dal documento si è appreso che la popolazione cristiana totale dell’Iraq si è ridotta di un sesto; in Siria, se nel 2011 vi abitavano circa 2 milioni di cristiani, oggi i fedeli di Gesù sono quasi la metà. Non solo. E’ emersa un’evidente ascesa del nazionalismo religioso in alcune aree dell’Asia, tra cui anche il Pakistan. Numeri sorprendenti secondo il direttore di “Porte Aperte – Italia”, Cristian Nanni, che ha affermato: “Un Paese come l’India sale al quindicesimo posto a causa del nazionalismo induista; ma anche in nazioni come Laos, Bangladesh, Vietnam, Bhutan, che hanno origini e tipologie sociali completamente differenti, il nazionalismo religioso sta trovando particolare spazio. L’altro elemento fondamentale, che è poi la fonte principale di persecuzione anticristiana, rimane quello che noi definiamo l’oppressione islamica”, ovvero estremisti come al-Shabbat o Isis.