“A Nicoletta, che faccia ascoltare i Fask ai lettori dell’articolo”. È questo il messaggio che vi porto da Giacomo Mazzariol: un ragazzo che ha tolto le targhette dai quadri per guardare l’essenziale, ciò che sta dentro le tele. E questo grazie all’aiuto di Gio. Finalmente riusciamo a trovarci. La meta è Badia Polesine (Ro) prima di un appuntamento pubblico. Ha appena vent’anni, potrebbe essere mio figlio. È solare, ha un bel faccino, e le idee chiare. Fino ad un paio di anni fa la sua vita trascorreva tranquilla, nella tranquilla città di provincia Castelfranco Veneto. Fino a quando non decise di girarlo. Giacomo Mazzariol, allora appena diciottenne, non aveva calcolato che quel “corto”, “The Simple Interview“, postato su Youtube, in poche ore avrebbe spopolato sul web finendo poi sulle pagine dei giornali e in Tv. Racconta dietro e davanti la cinepresa una situazione paradossale. Il protagonista è suo fratello Giovanni di 13 anni, che ha la sindrome di Down, in giacca e cravatta, con tanto di valigetta in mano per un colloquio di lavoro. Un video che lascia una scia di commozione. Niente situazioni strappalacrime, niente pietismo ma l’incontro surreale tra due dimensioni: quella della “normalità” e quella della “diversità”, che troppo spesso viaggiano parallele a causa delle nostre categorie mentali.
Giacomo rompe con le classificazioni tra gli esseri umani, mettendo al centro la persona, unica ed irripetibile meraviglia. E un simpatico rapporto tra fratelli. Dopo il successo con The Simple Interview, Giacomo esce allo scoperto. E lo fa compiendo un viaggio dall’infanzia all’adolescenza accanto a suo fratello, con i tanti perché che la vita pone, scrivendo nel 2016 per Einaudi un romanzo dal titolo “Mio fratello rincorre i dinosauri“. Ci fa entrare nella sua vita, circondata da due sorelle, da una mamma e un papà, fino a quando entra in scena, appunto, il protagonista, Giovanni, che lui credeva un super eroe. “Giovanni era come un pacchetto di caramelle tutte diverse, finché non le hai finite non sai qual è la più buona”. Giacomo apre il libro con questa frase di Einstein: “Ognuno è un genio, ma se si giudica un pesce dalla sua abilità ad arrampicarsi su un albero, lui passerà tutta la vita a credersi uno stupido”. “La stessa frase – dice – potrebbe iniziare con ‘Ognuno è un disabile’, perché è proprio così, ognuno di noi, semplicemente, ha qualcosa che non sa fare. Io, ad esempio, non so fare la lavatrice. E voi?”.
Come ti è venuta l’idea di girare The simple interview e inscenare un colloquio di lavoro?
“Non so bene. Quando sei in un processo creativo ogni cosa che vivi si trasforma in un’idea. Alla fine di una decina di video che avevo già fatto, bruttissimi tra l’altro, è venuta fuori questa idea. Giovanni è un attore nato. Abbiamo detto: ‘Facciamo un’intervista’. Lui ha proposto: ‘Mettiamoci in giacca e cravatta’. E io: ‘Dai, facciamo un colloquio’. Ce la siamo rimbalzata io e lui. Non avevvamo un copione vero e proprio ma una scaletta con delle azioni da compiere. Mentre lo giravamo sono venute delle scene belle molto improvvisate. Certo è che Giovanni se l’è presa molto bene, tanto che voleva sempre andare in giro in giacca e cravatta!”.
Immaginavi tutto questo successo?
“No, è stato un caso”.
Però lo hai pubblicato il 21 marzo, Giornata mondiale della Sindrome di Down…
“Volevo fare un video per portarlo all’assemblea di istituto del mio Liceo, del quale ero rappresentante, prevista proprio per quella giornata. Poi l’ho messo su Youtube, l’ho condiviso con i miei amici che a loro volta lo hanno condiviso con altri e da lì è partito da solo”.
Devi ringraziare anche Giovanni.
“Sì, è una cosa comune. Insieme”.
Hai capito poi perché tuo fratello rincorre i dinosauri?
“È lo stesso motivo per cui io adoro il basket. Non so da dove nasce. Ho provato a capire Gio e la sua passione, lui che è in questo mesozoioco, a vedere il mondo con i suoi occhi. In realtà il titolo è una metafora”.
I tuoi genitori ti avevano detto che tuo fratello sarebbe stato speciale. Pensavi che avrebbe avuto i superpoteri. Invece hai scoperto che non li aveva, almeno non come li pensavi tu, era down. Come è stato l’incontro con questa scoperta?
“È stata una cosa tranquilla. La mia vita è abbastanza felice. Nel romanzo il focus è quello di capire anche le criticità. Ho raccontato anche la fatica. Devi fare un percorso. Ho messo anche qualche semino di delusione. Però in realtà il mondo con mio fratello è quasi sempre stato bello: con Gio mi sono sempre divertito”.
Durante l’adolescenza è stato difficile capire il mondo di Giovanni?
“Beh sì, soprattutto quando compie azioni che non comprendi. Ad esempio Gio quando torna da scuola si nasconde dietro una porta di vetro… Relazionarsi con una persona che fa cose diverse è difficile, se non comprendi come ragiona. A volte con i compagni di classe per anni ti dai fastidio e poi all’ultimo anno capisci che tutte le azioni che si facevano avevano una logica, e diventi amico di chi non lo eri mai stato. Nella scoperta della diversità ci vuole molto tempo, non è mai immediato. Immediato è il pregiudizio… perché costa meno fatica”.
“L’unica cosa che si può sempre scegliere è amare, senza condizioni” dice tua madre nel libro. I tuoi genitori hanno scelto Giovanni anche con un cromosoma in più. Se fossero ricorsi al cosiddetto aborto terapeutico, lui non sarebbe mai nato.
“Non mi va di dire cosa deve fare una persona in generale. Ma se uno ricorre all’aborto perché pensa che la vita di suo figlio sarà infelice, che avrà un sacco di problemi, che lo prendereanno in giro… posso dire che c’è molta ignoranza. Mia madre ha detto anche: ‘Ho fatto più fatica a tenere Giacomo che Giovanni’. Alla fine i problemi sono più legati all’avere un figlio, che non all’avere un figlio con disabilità”.
Cosa hai imparato dall’incontro con tuo fratello?
“Ho dovuto scrivere un libro per dire tutte le cose che ho imparato: un modo di vivere, una rivoluzione totale di vari concetti, partendo dall’amore, passando per il successo, arrivando al concetto di tempo. In generale un approccio più dinamico con le persone. È una questione di movimento ed il titolo del libro è una metafora: se una persona è ferma, statica, ti arriva quello che ti arriva; se ti muovi e provi a capire perché ha detto quella frase, provi ad indagare, allora arrivi ad uno scambio maggiore. Lui mi ha dato più movimento nelle relazioni”
Il libro è dinamico, simpatico, per nulla pietistico. Dove hai imparato a scrivere così?
“Un po’ mi hanno insegnato. La casa editrice mi ha messo vicino delle belle persone, tutte le settimane vado dall’editor come se fosse il mio psicologo. Ho sempre scritto, mi è sempre piaciuto, ma non sono certo il migliore che scrive a 20 anni. È che sono uscito io”.
Attualmente cosa fai?
“Mi sono trasferito a Roma per seguire un po’ di progetti. Sto facendo un Blog su Repubblica, Generazione Z, per ragazzi e studenti… sta andando bene. Tra poco inizierò la sceneggiatura del mio libro e ne sto scrivendo un altro. L’anno prossimo ho in mente di iscrivermi a Filosofia”.
Non è impegnativo tenere un Blog e dare consigli a ragazzi come te?
“Mi rivolgo a ragazzi delle superiori. Ma io non mi pongo come vate, guida. Loro mi pongono delle domande che me ne stimolano altre. Io non do soluzioni. Quelle le danno i giornalisti più grandi”.
Cosa vuoi dire ai tanti giovani che ti seguono?
“Di ascoltare buona musica”.
Per esempio?
“I Fast animals and Slow Kids (Fask), una band italiana”.
Cerco su internet e scopro che tra qualche settimana si esibiranno a pochi chilometri dalla nostra redazione. Magari andremo a sentirli.
Tratto da “Sempre”